MilanoFinanza, 21 novembre 2015
I meriti di Descalzi
Un anno e mezzo fa a dare il via alla trasformazione dell’Eni era stata la riorganizzazione del gruppo, che ha spazzato via il modello divisionale a favore di una maggiore integrazione dei business. Si era trattato, in pratica, di riplasmare il gruppo come una vera società operativa, sull’esempio di altre oil company, come ExxonMobil e Total.
Poteva sembrare la classica mossa di ogni ceo che arriva e rimodella l’azienda per dare un segnale di discontinuità rispetto alla vecchia gestione. In realtà, è stato molto più di questo, anche perché di lì a poco Eni si è trovata ad affrontare un crollo verticale dei prezzi del petrolio. Il vero battesimo del fuoco, insomma, per l’ad Claudio Descalzi è stato quello. Tanto che il merito che il mercato gli riconosce è aver anticipato il crollo del barile, guidando Eni nell’upstream con un’attenzione sempre maggiore ai giacimenti convenzionali, ricchi di riserve ma poveri di ostacoli. Solo così, pur con l’inevitabile tracollo degli utili (a 760 milioni di euro, -76% il netto dei nove mesi), gli è riuscito un mezzo miracolo sul fronte produttivo. Gli ultimi successi esplorativi hanno portato le risorse scoperte a 1,2 miliardi di barili, con un costo unitario di 0,6 dollari, in confronto ai 2 dollari previsti nel corso dell’anno, per un target di 500 milioni di barili. Questo ha consentito a Descalzi di correggere al rialzo anche la previsione di crescita annua della produzione, portandola a circa il 9% dal precedente 7% (il tasso più alto registrato dal 2009), e di ridurre invece il costo operativo per barile di un altro 12%, abbassandolo a 7,3 dollari, ai minimi del mercato. Con un prezzo del petrolio a 55 dollari, il Cane a sei zampe conta anche di autofinanziare la spesa per investimenti, garantendone la copertura organica. Ovvio che con tutte le previsioni dell’Exploration & Production in rialzo, il mercato ora si aspetti un’accelerazione anche dal nuovo piano industriale al 2019 che sarà presentato nel marzo prossimo. Nel raggio d’azione del nuovo business plan, infatti, entra di diritto Zohr, il mega giacimento egiziano scoperto ad agosto, e potrebbe ricomparire anche l’Iran, visto il contesto geopolitico più favorevole al ritiro delle sanzioni. Sul fronte egiziano si procede speditamente. Descalzi prevede di portare a dicembre all’approvazione dei consiglieri la cosiddetta Fid per Zohr, la decisione finale sull’investimento, che secondo fonti locali potrebbe impegnare risorse per circa 10 miliardi di dollari, giustificate da un potenziale di 850 miliardi di metri cubi. Da quei numeri il gruppo ha preso slancio anche per un progetto di hub del gas nel Mediterraneo, che prevede una triangolazione Egitto-Cipro-Israele. La sfida, diplomatica prima che industriale, di Descalzi sarà riuscirci senza far innervosire Israele, che punta le sue carte su un altro giacimento di gas offshore, Leviathan. Nei piani di Noble, la società che lo sviluppa, il gas di Leviathan era destinato ad essere esportato anche in Egitto. Ma la scoperta di Zohr ha scombinato tutto, rendendo il Paese autosufficiente e trasformandolo potenzialmente in un esportatore di gas. L’Egitto, così, si è ritrovato di prepotenza nei piani di espansione del gruppo. Finiti i tempi in cui l’ex ad Paolo Scaroni andava al Cairo per reclamare i crediti commerciali non pagati dalle utility di Stato («Il modo peggiore di perdere soldi è non essere pagati», ripeteva), gli ultimi viaggi di Descalzi hanno avuto ben altro tenore, con il presidente Abdel Fattah Al-Sisi gongolante all’idea di potersi presto affrancare dall’import di gas, tanto da aver chiesto al suo ministro dell’Energia di rimuovere qualsiasi ostacolo sulla strada dello sviluppo di Zohr. Il giacimento scoperto a fine estate ha avuto anche il merito di accelerare tutta un’altra serie di operazioni. Nei giorni scorsi, per esempio, Eni ha firmato con il governo egiziano tre emendamenti per le concessioni Sinai 12 e Abu Madi, North Port Said e Baltim, in partnership con BP, e un nuovo accordo di concessione, Ashrafi, in partnership con Engie. Gli accordi danno il via a progetti da realizzare nei prossimi 4 anni, con investimenti per oltre 2 miliardi di dollari, e sono l’atto finale del processo avviato a marzo scorso a Sharm El Sheikh per un controvalore di 5 miliardi. I riflettori restano accesi anche sul Mozambico, con gli immensi giacimenti dell’Area 4 nel Rovuma basin (2.407 miliardi di metri cubi di gas) pronti a partire nell’arco di piano. Il primo sarà Coral, seguito da Mamba. Ma Eni sta anche allargando le concessioni. Con Statoil, Sasol e Enh si è aggiudicata i diritti di esplorazione e sviluppo di un altro blocco offshore, l’ A-5A, nelle acque profonde del bacino settentrionale dello Zambesi. L’attesa del mercato però non è solo per lo zampillare del first oil, quanto per la vendita di un’altra quota dei giacimenti dell’area 4, intorno al 15%.
Quanto alle cessioni, Descalzi aveva fissato l’asticella a 8 miliardi di euro, escludendo Saipem di cui ha appena ceduto il 12,5% al Fondo Strategico di Cdp. Il 20 novembre si è conclusa un’altra delle operazioni attese, la cessione della quota residua in Galp, l’ultimo 4% del capitale. L’incasso per il gruppo è stato intorno ai 325 milioni, a un prezzo di 9,81 euro per azione. L’uscita da Galp, di cui Eni era arrivato a detenere il 33,34%, è stata condotta attraverso un accelerated bookbuilding rivolto a investitori istituzionali qualificati, e verrà regolata il 24 novembre prossimo Si guarda anche alla possibile cessione di Versalis, alla quale sta lavorando l’advisor Barclays. Il controvalore della controllata chimica è stimato intorno a 1 miliardo di euro, anche perché nel frattempo, in anticipo sul previsto, è tornata all’utile operativo, con un risultato rettificato di 172 milioni, in aumento di 271 milioni rispetto al rosso operativo di 99 milioni nel terzo trimestre 2014.