Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2015
Lo yuan diventa moneta di riserva. Conseguenze
Il 30 novembre prossimo, il Fondo Monetario Internazionale aggiungerà la moneta cinese (renminbi o yuan) a quelle che determinano il valore dei Diritti Speciali di Prelievo (oggi dollaro, euro, yen e sterlina). La notizia non figurerà a lettere cubitali sulle prime pagine dei quotidiani: gli arcani della finanza internazionale difficilmente appassionano il grande pubblico. In compenso, ne parleranno i futuri libri di storia come uno di quegli eventi, in sé soprattutto simbolici, che segnalano mutamenti profondi, non solo economici.
La decisione del Fondo non avrà altro effetto pratico che quello di dare al renminbi un peso di circa il 10 per cento nella determinazione del valore di una valuta nozionale (i Diritti Speciali di Prelievo), creata per prestiti del Fondo ai governi. Ma è un segnale al quale la dirigenza cinese tiene molto: la moneta del gigante economico asiatico acquista ufficialmente un ruolo di moneta di riserva. Per capire l’importanza politica, prima ancora che economica, di questo arcano, è utile riandare alla storia perché è anche a questa che guardano le autorità cinesi.
Valute di riserva sono quelle che banche centrali, governi (fondi sovrani) e grandi operatori privati detengono sia come ancora di valore patrimoniale sia per effettuare la maggior parte dei pagamenti internazionali. Devono, dunque, essere largamente usate negli scambi transnazionali di beni e servizi e avere un mercato, come si dice in gergo, liquido e profondo. Sino al 1914, la sterlina fu la principale valuta di riserva, grazie alla dimensione del commercio internazionale britannico e all’indiscusso primato della City quale mercato dei capitali. La seconda economia mondiale di allora, la Cina, era poco aperta agli scambi con l’estero: la sua moneta, ancorata all’argento quando il resto del mondo aderiva al gold standard, era poco scambiata sui mercati: mancavano le condizioni per farne una moneta di riserva. Tra le due guerre mondiali, il dollaro si affiancò alla sterlina come valuta di riserva, in un mondo diventato multipolare, nel quale la Cina non trovò spazio. A Bretton Woods, Keynes combatté una battaglia fuori tempo per la creazione di una valuta internazionale, il bancor, che, nella sua visione, avrebbe limitato lo “strapotere” del dollaro conservando un ruolo alla sterlina. Dopo il 1945, all’egemonia economica, politica e militare degli Stati Uniti si accompagnò il quasi totale monopolio del dollaro quale mezzo di pagamento internazionale e, dunque, moneta di riserva. Il “privilegio esorbitante” del dollaro, denunciato e velleitariamente combattuto da De Gaulle, era radicato nella struttura stessa dell’economia mondiale della quale gli Stati Uniti costituivano ben il 40 per cento. Nel mondo nuovamente multipolare di fine e inizio secolo, il declino del dollaro come moneta di riserva è stato assai lento, come era stato quello della sterlina tra le due guerre. Fu affiancato, come partner minore, dall’euro, mentre il prepotente emergere della Cina come seconda economia mondiale (forse prima a parità di potere d’acquisto) non aveva ottenuto l’ambito riconoscimento ufficiale dell’importanza del renminbi. I cinesi la pensavano un po’ come De Gaulle: l’Occidente, sulla via di perdere il primato economico, si aggrappava al “privilegio esorbitante” della valuta. La decisione del Fondo, basata almeno formalmente su un’analisi tecnica, è il sigillo di buona condotta valutaria che i cinesi desideravano, un po’ come era nell’Ottocento l’ingresso nel club delle monete convertibili in oro che, contrariamente al Giappone, in Celeste Impero non aveva voluto o potuto realizzare.
Si tratta, dunque, di un passo soprattutto simbolico: la sua valenza pratica sarà sancita dai mercati. Diranno i prossimi anni se l’uso dello yuan nei pagamenti internazionali si estenderà massicciamente oltre i paesi asiatici più legati alla Cina. Intanto, se la storia è di qualche aiuto, il definitivo declino del dollaro non sembra dietro l’angolo. Nell’immediato (l’istruttoria era peraltro iniziata da tempo) la decisione del Fondo non potrebbe essere più tempestiva e opportuna. Sul piano politico, rilancia il percorso – iniziato con l’ammissione al Wto nel 2001 – dell’inclusione della Cina tra i partner importanti e affidabili del governo multipolare del mondo. Non sfugge ad alcuno quanto ciò sia prezioso dopo gli attacchi di Parigi.
Sul piano economico, il riconoscimento dell’importanza sistemica della valuta cinese scongiura il rischio della risposta al rallentamento della crescita con svalutazione competitiva del renminbi, il cui impatto sulla fragile ripresa europea si farebbe sentire, soprattutto in Germania. Il comportamento responsabile delle autorità monetarie cinesi è stato sinora poco riconosciuto, trascurando il fatto che dall’inizio della Grande Recessione a oggi, il renminbi è stato lasciato rivalutare di circa il 75 per cento rispetto all’euro, aiutando non poco le esportazioni tedesche. La decisione del Fondo rende ancora più probabile un atteggiamento di prudenza e cooperazione delle autorità monetarie cinesi accrescendo il loro interesse per la stabilità del sistema monetario internazionale.