Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2015
Che cos’è la core inflation e perché divide Draghi dalla Yellen
La stella polare della Banca centrale europea è l’inflazione. Nient’altro. Nella definizione della Bce, coniata ai tempi in cui era capo economista Otmar Issing, la banca ha come mandato la stabilità dei prezzi, definita come un’inflazione «sotto, ma vicina al 2%». Sul fatto che non ci siamo – l’inflazione è oggi a 0,1% e resterà bassa ancora per molti mesi e difficilmente raggiungerà l’obiettivo nei prossimi due anni – tutti sono d’accordo. Lo ha detto ieri anche il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, il quale concorda anche sul fatto che un’inflazione troppo bassa troppo a lungo ha conseguenze, tra l’altro, per i debitori, e che, con i tassi d’interesse a zero, un’inflazione troppo bassa si traduce in una restrizione di politica monetaria di cui proprio non si sente il bisogno, soprattutto se le aspettative di inflazione scivolano a loro volta verso il basso.
Weidmann ritiene però che il grosso di quest’inflazione troppo bassa sia causato dal crollo dei prezzi dell’energia, per circa un punto percentuale. La core inflation, l’inflazione di base, è all’1%, per l’esattezza all’1,1, e secondo il presidente della Bundesbank è destinata a risalire verso l’obiettivo, che, dopo tutto, va raggiunto nel medio periodo. Che cos’è la core inflation? È la misura dell’inflazione depurata dai prezzi dell’energia e degli alimentari, che sono i più volatili. E sono al di fuori del controllo delle banche centrali.
Anche Draghi ha parlato di core inflation, forse per prevenire le obiezioni di Weidmann alla sua spinta per un maggior stimolo monetario. E il capo della Bce, non sorprendentemente, vede l’inflazione di base in modo diverso dal suo collega tedesco. È scivolata in basso a partire dalla metà del 2012, al culmine della crisi dell’euro, ha detto ieri, e si è mossa attorno all’1% per circa due anni. L’aumento di ottobre all’1,1%, anche se incoraggiante, non è sufficiente a cambiare in modo fondamentale questo quadro. Non possiamo permetterci di ignorarla, sostiene Draghi, perché in passato la core inflation ci ha detto dove si stabilizzerà l’inflazione nel medio periodo. Ai prezzi dei prodotti industriali offrirà sostegno la svalutazione dell’euro, ma quelli dei servizi, che sono vicini ai minimi storici, dipendono da un aumento della crescita dei salari nominali. Per ottenerla, l’economia deve muoversi il più rapidamente possibile verso un pieno utilizzo della capacità produttiva, un traguardo dal quale siamo lontani. Il riferimento esplicito alla dinamica salariale avvicina il presidente della Bce al modo di ragionare della Federal Reserve (che peraltro ha nel suo mandato anche attività economica e occupazione), dove è un riferimento importante. Sarà un’altra carta concettuale da giocare il 3 dicembre quando il consiglio darà il via alla seconda fase dello stimolo monetario.