il Fatto Quotidiano, 21 novembre 2015
Storia di Giordana, uccisa da 42 coltellate del suo ex, e di sua madre Vera che lotta ancora per avere giustizia
Poco più di mese fa moriva Giordana Di Stefano. Il suo nome non vi dirà nulla perché le vittime di femminicidi si rinnovano spesso, al ritmo di una donna ammazzata ogni due giorni. Non si fa in tempo ad affezionarsi a una storia, a un volto, a una vita mutilata che i giornali devono liberare una colonna e cercare una foto su Facebook di quelle in cui la vittima, poco prima di morire, sembrava felice. Perché qualcuna ci prova a essere felice dopo un uomo di quelli che non ti lasciano andare. Giordana, per esempio, ci aveva provato. Con una tale forza che oggi, chi la amava e le è sopravvissuto, chiede giustizia con la stessa tenacia con cui Giordana era rimasta attaccata alla vita, nonostante i suoi vent’anni fossero stati una salita immeritata.
Giordana era rimasta incinta di Luca a 15 anni e il pensiero di liberarsi di un peso troppo grande per un’adolescente non l’aveva neanche sfiorata. Luca invece pare fosse più scettico, ma alla fine si era arreso a una pancia che cresceva e al sorriso di una fidanzata bellissima, che nonostante le chiacchiere di paese, continuava ad andare a scuola e a sedere su quella sedia ogni mese un po’ più distante dal banco. Poi era nata Asia, Giordana aveva lasciato la scuola per dedicarsi alla piccola perché lei a sedici anni si sentiva più mamma che figlia ed erano cominciati gli screzi con Luca che a vent’anni forse si sentiva più figlio che padre e il padre non riusciva a farlo un granché.
Si lasciano e accade quello che innesca la maggior parte dei femminicidi: Giordana tenta di essere felice. Di riprendersi un po’ della sua vita di ragazza. Entra a far parte di una compagnia di danza, esce con le amiche, posta le foto al mare con la sua piccola Asia. Condivide la foto del suo tiramisù con la mamma, parla della nonna, dell’amore per la figlia. Luca la osserva ritrovare il sorriso e diventa geloso della sua felicità. Di quel moto d’orgoglio che sempre su facebook le fa scrivere: “Uno degli errori più grandi che si possano fare è tenere vicino chi sgretola la tua autostima”. Ma non c’è solo spensieratezza nella vita di Giordana.
Luca comincia ad essere ossessivo, vuole tornare con lei, è geloso dei suoi amici, una volta si introduce dentro casa senza preavviso e alla fine Giordana lo denuncia per stalking. Vera, la mamma di Giordana, comincia ad aver paura di quel ragazzo. Chiede alla figlia di stargli lontana. Poi Giordana si innamora di un altro – un carabiniere più grande di lei di 16 anni – e forse pensa che la vita le stia per regalare un po’ di leggerezza. E invece, nel breve destino di questa ragazza, non ci sarà nessun uomo capace di farle conoscere quell’amore che annaffia l’autostima.
Giordana scoprirà l’esistenza di un’altra e soffrirà ancora, ma ancora una volta sceglierà di andarsi a cercare la sua felicità. C’è un suo messaggio su facebook datato 8 marzo che dovrebbe diventare il manifesto di tutte le donne che riprendono in mano la loro vita: “Propongo un brindisi al primo film dopo di te, alla prima canzone dopo di te, al primo sogno in cui non sei apparso. Per la prima sera in cui sono uscita e mi sono anche divertita senza di te. Per il primo ‘ti trovo bene’ dopo di te, per il primo paio di scarpe, per il primo tramonto, per il primo ballo a piedi nudi e per il mare, perché sono perfino tornata al mare dopo di te. In alto i calici per l’ultima volta in cui, soffocata dalla tua mancanza, ho sussurrato al cuscino che non ce l’avrei fatta. Quando pensi anche solo un istante di voltarti indietro, stappa una birra e brinda alla tua forza!”. E invece Luca sette mesi dopo l’ha ammazzata.
Era la vigilia del processo per stalking, le ha chiesto quell’ultimo incontro da soli che a certi uomini non andrebbe mai concesso. Erano in macchina, ha tirato fuori un coltello e il primo film, il primo tramonto, la prima giornata al mare, il primo fidanzato dopo di lui hanno fomentato quella mano che s’è accanita 45 volte sul corpo di Giordana. Coltellate così violente da procurarle microfratture al cranio, dirà l’autopsia. E non ci sarà tempo per il rimorso, ma solo quello per la fuga terminata alla stazione di Milano mentre Luca tentava di prendere un treno per la Svizzera. Dirà che non aveva premeditato nulla, che è stato un raptus, che quel coltello se lo portava dietro così, perché a Nicolosi non si sa mai. Tutti gli abitanti di Nicolosi girano con un coltello a serramanico in tasca, si sa.
E allora si torna al punto in cui questa storia è cominciata: la forza. Perché quella forza di reagire e di riprendersi la felicità che ha ucciso Giordana, oggi è nella battaglia di sua madre Vera, una donna che a un mese e mezzo dalla morte di sua figlia non smette un giorno di chiedere giustizia. E lo fa ignorando le richieste di ospitate televisive, di interviste, di partecipazioni a circhi mediatici. Grida il suo dolore dalla sua bacheca di facebook, non smette di ricordare la bellezza della figlia e si infuria con i legali dell’assassino di suo figlio che hanno fatto richiesta di affidamento al solito Don Mazzi, perché, povero ragazzo, “è depresso”. “Anche io sono depressa, anche io voglio suicidarmi perché un bastardo assassino ha seviziato e ucciso mia figlia facendole vivere gli ultimi istanti nel dolore e nel terrore e solo perché aveva detto basta. Voglio una visita psichiatrica anche io, voglio andare da Don Mazzi!” ha scritto Vera.
Ieri il Tribunale del riesame di Catania ha rigettato la richiesta dei legali di Luca, che resta in carcere. Perché Giordana è morta, ma ha una mamma che non smetterà di lottare. Lo deve alla sua bambina e a tutte le prime volte che la attendevano dopo l’ultima curva per il mare.