Corriere della Sera, 22 novembre 2015
Tra Usa e Russia è di nuovo guerra. L’obiettivo è quello di riuscire a neutralizzare per primi i satelliti avversari in caso di conflitto
Era l’ottobre di un anno fa, quando sulla pista della Vandenberg Air Force base in California, ha toccato l’X37B, un misterioso mini-shuttle americano rimasto per due anni in orbita. Un rientro dopo una lunga missione accompagnata dal segreto e molte speculazioni. Tra queste che il velivolo spaziale fosse un killer, un cacciatore di satelliti. Una delle armi che potenze grandi e piccole vogliono sviluppare per tenersi a bada a vicenda. Una sfida che fa a dire agli esperti che la «pax» celeste è finita.
Oggi volano sopra le nostre teste oltre 1.300 satelliti, portano i colori di Usa, Russia, Cina, India, Israele e di una lunga lista di stati, compresa l’Italia, con i suoi 5. Trasmettono dati, aiutano i navigatori, favoriscono le comunicazioni, rendono la vita più facile. Sono «oggetti» civili, fondamentali per l’economia e una miriade di aspetti. Ma al loro fianco ruotano le sentinelle. Guardano, spiano, sorvegliano rotte, mari, deserti. Componente fondamentale dell’assetto strategico ma anche strumenti formidabili nella lotta ai terroristi. Hanno aiutato a scovare Osama bin Laden, guidano i droni impegnati nell’eliminazione dei qaedisti dalla Somalia all’Iraq, individuano le basi dell’Isis. E poi fanno il loro vecchio mestiere: controllano i rivali, ma anche gli amici. È dall’epoca della Guerra fredda che coprono il ruolo chiave. Allora un duello, oggi una battaglia senza morti e con tanti protagonisti. Che provano ad oscurare gli occhi elettronici.
I russi, proseguendo antichi programmi, lavorano sodo e – a sentire gli Usa – sono avanti nella ricerca. Un lungo articolo del Financial Times ha sintetizzato notizie uscite dal 2014 sui progetti autorizzati dal Cremlino. Quanti scrutano con competenza e curiosità il cielo hanno segnalato lo strano balletto di Cosmos 2491, 2499 e 2504. Numeri che ricordano Star Wars, sigle di manovre nello spazio. Gli scienziati sono convinti che i movimenti siano legati a possibili test per neutralizzare, in caso di conflitto, gli apparati degli avversari. I tecnici aggiungono che si tratta di macchine perfette quanto fragili. Possono essere annebbiati o danneggiati. Con un raggio laser, una pioggia di detriti dall’effetto lupara, una collisione voluta o simulata. Ecco allora trucchi, mosse, lanci di vettori con carichi speciali, tutti parte di una corsa, ovviamente poco pubblicizzata.
Washington e Mosca sono in testa nella gara, insieme ai cinesi, decisi a recuperare terreno, dal mare agli astri. Pechino ha lanciato nel 2013 il Dong Neng, definito dagli specialisti un intercettore di satelliti. Una versione ben più sofisticata di BX 1, posizionato nel lontano 2008 non troppo lontano dalla stazione orbitale internazionale. Allora dissero che aveva compiti di osservazione, spiegazione mai accettata dagli Stati Uniti: per loro era una minaccia potenziale e anche seria.
Come sulla Terra gli 007 se le danno cercando di non farsi scoprire, lassù i militari provano a confondere le idee e a proteggersi. Notizie non confermate – e probabilmente infondate – hanno sostenuto che al Pentagono hanno avuto difficoltà nel seguire le mosse militari di Putin in Siria perché i russi hanno creato uno schermo. In una base è stato avvistato il sistema Krasuha 4.
In realtà basta andare sul canale Twitter e vedere foto satellitari che mostrano tank, caccia Sukhoi, elicotteri, postazioni di artiglieria, difese. Le notizie sono parte della normale schermaglia propagandistica, però segnalano anche come la partita sia importante. E nessuno vuole perderla.