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 2015  novembre 23 Lunedì calendario

Forattini finisce nel “Forattone” (Mondadori) e all’asta, «perché tutti possano avere qualcosa di mio»

Giorgio Forattini è a casa sua a Milano, in Porta Venezia, circondato dalle sue donne (la moglie Ilaria, l’assistente Michela) e da centinaia di ritratti sulle pareti. «Fra qui, Parigi e Roma ne avrò mille e cinquecento...».
 Una fissa, quella dei ritratti, per lui che disegna volti da oltre quarant’anni: politici, soprattutto, e poi Papi e imprenditori. Ecco, ora che ha quasi 85 anni, il suo lavoro finisce in una raccolta, Il Forattone (Mondadori), e all’asta: 368 fra disegni e «sculture, gigantografie, installazioni, teatrini in 3D», quelle «vignette quasi animate create da Gherardo Frassa per le mie mostre».
Ma perché quest’asta?
«L’idea è che tutti possano avere qualcosa di mio. Si parte dai 50-60 euro».
Chi sono i personaggi all’asta?
«Quelli storici, Prodi, Pertini, Napolitano, Berlinguer, Andreotti...»Il più amato?
«Spadolini, si divertiva. E poi ci sono Occhetto, Agnelli, Fassino magro magro come uno scheletro, Berlusconi-Zio Paperone, Scalfari, De Mita».
Perché faceva Spadolini sempre nudo?
«Perché era grasso, mi piaceva. La satira deve sfruttare il fisico delle persone».
La vignetta più contestata?
«D’Alema che sbianchetta la lista Mitrokhin. Nel ’99 mi chiese tre miliardi di lire. Vede quel tapiro sulla mensola? Me lo portarono a Parigi, dopo la querela».
E dopo?
«Mi fece andare via da Repubblica. Ma io tratto tutti allo stesso modo. E, se uno mi attacca, lo faccio ancora più buffo. Niente di personale però: io prendo di mira solo i comportamenti politici».
Ha iniziato tardi, a quarant’anni.
«Però ho sempre disegnato. A scuola facevo le caricature dei prof. Poi ho fatto un po’ di architettura e un po’ di legge, ma c’era da studiare troppo. E l’Accademia di teatro a Roma, la Scharoff. C’era Sofia Loren».
Era bella?
«Ammazza... Andavamo a teatro coi biglietti gratis, un figurone. E poi c’erano la Wertmüller, la Melato. Comunque, ho iniziato presto a lavorare».
Che cosa faceva?
«Mio padre era direttore dell’Agip e, quando Mattei lo fece fuori, aprì una azienda petrolifera a Napoli: giravo il Sud per vendere i prodotti petroliferi».
Era bravo?
«Sì. Poi continuai a fare il rappresentante: elettrodomestici, libri, dischi. E a quarant’anni entrai a Paese sera con un concorso».
Vignettista?
«Impaginatore. Cominciai le vignette per Panorama nel ’73, chiamato da Gian Luigi Melega. Nel ’74 feci la prima su Paese sera, per il referendum sul divorzio: Fanfani-tappo che salta via».
Era in piazza coi radicali?
«Pannella è un grande uomo libero. Sì, qualche volta sono stato in piazza con lui, ma non ho mai fatto politica».
Qualcuno le ha mai chiesto di candidarsi?
«Pannella me lo chiese. Non ho mai frequentato i salotti, però facevo queste vignette a favore delle loro idee e del divorzio, così fui subito etichettato come anticattolico e anticomunista».
Non lo è?
«Non ho mai militato nei partiti. Sono libero. Mi hanno anche dato il Premio Pannunzio, un uomo da cui ho imparato molto, insieme a Longanesi. Molti mi hanno considerato fascista, nichilista, qualunquista: il fatto è che l’Italia non è abituata alla satira. Ma la satira è sacra».
Quando D’Alema la attaccò qualcuno la difese?
«No, Repubblica non mi difese. E neanche l’Ordine. Solo alcuni colleghi come Vauro, Vincino. Però mi chiamò subito l’Avvocato alla Stampa».
È vero che le offrì un miliardo l’anno?
«Mi pare...».
Quando gli faceva la caricatura si irritava?
«Noo. Io faccio tutti caricaturali ed è facile perché, in genere, gli uomini sono piuttosto brutti. Con le donne è più difficile. La Iotti si offendeva...».
Chi altro si arrabbiava?
«Craxi. Berlinguer no, si arrabbiavano gli altri, quelli del partito. E De Mita. Andreotti invece diceva: Forattini m’ha inventato».
I suoi maestri?
«Guareschi, il più grande. Mi piaceva Wolinski, di Charlie Hebdo. Il francese Plantu, che è un amico».
Altri amici?
«Renzo Piano. Giancarlo Giannini e Salvatore Accardo, miei testimoni di nozze a Parigi. Lo scultore Ivan Theimer».
Chi le piace dei colleghi?
«Altan, Bucchi tanto, Vincino».
Senta, ma non le dispiace che tutte queste opere vadano all’asta?
«In effetti un po’ sì. Mi dispiace. Però a 85 anni se può pure fa’».