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 2015  novembre 21 Sabato calendario

Luca Zingaretti sta imparando a fare il papà: «Le mie bambine vogliono giocare, cercano me, se stanno male cercano la mamma. Non è un fatto di diritti o di parità, ma di natura»

All’ora di pranzo di una luminosa domenica d’inizio novembre, Pistoia è deserta e silenziosa. Molti si alzerebbero da tavola e scenderebbero per strada, se sapessero che sul corso c’è Luca Zingaretti che cammina piano, e pensieroso si domanda “quanti di noi possono dire di vivere la vita che si sono scelti?”. Chiederebbero autografi e selfie e romperebbero la magia di riflessioni che invece resteranno sospese e intatte fino alle quattro del pomeriggio, quando in teatro saranno applausi su applausi. A sera, Zingaretti potrà dire: «Si poteva surfare sulle emozioni del pubblico in sala». Passeggiare lontano dal frastuono e farsi domande fa bene.
Passeggiare lontano dal frastuono e farsi domande fa bene. «Io, essendo un tormentato, mi interrogo su chi sono e cosa voglio da quando ne ho memoria. È una fortuna» dice lui.
The Pride di Alexi Kaye Campbell, che porta in tournée sino a febbraio, da attore, regista e produttore, con debutto romano al Teatro Argentina il 24 novembre, non è solo una storia sull’omosessualità, ma una storia che tocca le corde profonde di ognuno di noi. «È un testo splendido, ma difficile, con due storie parallele e un argomento caldo per modo di dire, perché facciamo tutti i liberali, ma i pregiudizi sono ancora tanti. Gli amici mi sconsigliavano di farlo». The Pride, però, per lui era diventato un’ossessione. «Mi attirava così tanto perché parla dell’identità, del coraggio di scoprire chi si è, di prenderne atto, e agire di conseguenza. Pochi di noi vivono la vita che si sono scelti e non parlo del fatto che uno voglia essere miliardario, ma di un interrogarsi che apparteneva a qualche generazione fa. Quando da ragazzo facevo politica, ci chiedevamo sempre se le nostre scelte fossero nostre o indotte da altro». E oggi? «Oggi i giovani vogliono solo uniformarsi alla massa, come se non ci fosse più un altrove. Non riguarda solo le scelte di vita. È tutto: è quando compri un telefonino che usi poco, ma devi comprarne comunque uno superaccessoriato e dopo due anni sei obbligato a cambiarlo perché non funziona più. È quando vivi accettando il mondo com’è e ti dimentichi di chiederti: ma questo sono io, è la vita che gratifica il mio io più profondo, mi sono raggiunto in questa esistenza?». Zingaretti sì, si è raggiunto, anche se quando glielo chiedi scuote la testa. È stato calciatore professionista, studente impegnato con la sinistra proletaria, poi è arrivato all’Accademia di Arte Drammatica, e da lì ha fatto 40 film, più di 20 pièce teatrali e di 20 fiction, Montalbano in testa, di cui uscirà una nuova serie nel 2016. Ma ora, il traguardo si è allargato ben oltre. Da quattro anni, è papà di Emma, da quattro mesi di Bianca, avute entrambe con Luisa Ranieri. Lei a Io donna ha detto: «È stato Luca a insistere affinché aggiungessimo alla nostra storia qualcosa di grande».
Ora, se gli chiedi cosa di grande abbiano aggiunto Emma e Bianca, s’illumina: «Le mie figlie mi pagano il biglietto per un secondo giro nella giostra della vita. Ho riscoperto lo stupore del mondo attraverso il loro stupore. Vedendo gli occhi di Emma davanti al mare, mi sono visto mentre bambino guardavo il mare. Ho capito che diamo troppe cose per scontate e che devo essere all’altezza del compito di padre». Il desiderio di paternità c’era da tanto. «Anche Luisa ci teneva, ma non aveva un attimo di tregua. Poi le ho detto: quest’anno mi riproduco, chi c’è c’è».
È a questo punto della conversazione che Zingaretti tira fuori uno smartphone superaccessoriato, che però ha una sua ragion d’essere: contiene i video di Emma che manda i saluti alla mamma quando è via per lavoro e quelli di Bianca appena spediti al papà lontano. «Somigliano a me. La primogenita mi ha staccato la faccia. Non dovrei esserne felice, dato che ha una madre bella come Luisa! Anche la seconda è meravigliosa, ha un viso così chiattulello!». Ovvero, “cicciottello”, per chi non ha una moglie napoletana. «Gli amici, poi! Mi dicono “passo a salutare Emma”. Ma come? Dico. E io? Emma ha una sua vita sociale, un eloquio e una conversazione da adulta. E guardi questa foto in cui Bianca ride… Ride con un niente».
Che effetto le fa la parola “mammo”? «Che significa?». Sono i nuovi papà, che cambiano i pannolini, preparano le pappe, prendono i congedi parentali… «Mi sembra una cavolata. Perché? Il papà non può cambiare i pannolini, coccolare il figlio? Comunque, se le mie bambine vogliono giocare, cercano me, se stanno male cercano la mamma. Non è un fatto di diritti o di parità, ma di natura». Riesce a essere severo? «Sono affettuosissimo, ma i paletti sono necessari: i bambini si sentono rassicurati». Sua moglie ha detto che Emma la compra con un bacetto. «Non è facile resisterle, però quando mi dice “ti prego, ti prego, un ultimo giro sull’altalena”, glielo concedo, ma è l’ultimo. Il mio metodo è: i no sono no, i sì sono sì, i forse possono diventare dei no o dei sì. Così, i bambini apprendono anche a metabolizzare le frustrazioni».
I figli “hanno aggiunto cose grandi”, ma pure ansie. «Mi preoccupa la situazione di questo Paese, che è peggiorato negli ultimi 15 anni. Sento di dover aiutare i figli a crearsi una stabilità emotiva, una loro identità, prima che prendano la loro strada, ma preferirei lasciarli andare in un mondo migliore. Meritocratico, per esempio». Le torna mai la voglia di impegnarsi in politica, ora che è padre? «L’artista s’impegna già nel suo specifico. In Italia, non serve il salvatore della patria, ma che ognuno faccia il proprio dovere». Siamo all’ultima domanda, prima che Zingaretti entri in teatro. Come insegna alle sue figlie a trovare la loro identità? «Le rispetto. Faccio loro capire che sono importanti. E le educo a rispettare gli altri».