SportWeek, 21 novembre 2015
Quando il calciatore si dà alla biochimica (con successo). Il caso di Flamini
Luogo comune vuole che i calciatori siano in larga maggioranza dei dilapidatori di patrimoni. Molti “investono” il denaro in donne e motori oppure si fanno truffare da maneggioni che promettono rendimenti impossibili. Non mancano però le lodevoli eccezioni. Il Corriere della Sera ha raccontato la virtuosa carriera imprenditoriale di Mathieu Flamini, centrocampista francese dell’Arsenal e per cinque stagioni al Milan, tra il 2008 e il 2013. Flamini ha conservato interessi a Milano e, con l’amico Pasquale Granata, ha puntato sulla biochimica: «Per affrontare il problema del riscaldamento globale», spiega. Flamini e Granata hanno finanziato un progetto del Politecnico di Milano atto a trovare fonti di energia alternative al petrolio. Lo studio ha scoperto che la molecola dell’acido levulinico può essere utilizzata per questo e per altri scopi, e la società dei due imprenditori, la GF Biochemicals, ha registrato una serie di brevetti per l’utilizzo dell’acido: benzine, detergenti, solventi, plastiche, farmaci. A Caserta è stato approntato uno stabilimento per la produzione della sostanza, che ha creato 400 posti di lavoro indotto compreso, il business è decollato e Flamini a ragione gonfia il petto: «Questo mercato vale più di 30 miliardi di euro e noi siamo in una posizione di monopolio». A conferma del successo è arrivato il premio per la tecnologia più innovativa “for industrial biotechnology and the bioeconomy”. A chiudere, la stoccata: «I calciatori hanno un’immagine negativa, ma non è giusto generalizzare». Chapeau, monsieur Flamini.