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 2015  novembre 22 Domenica calendario

Parigi dovrà imparare a vivere come Israele.

Parigi. In questi giorni mi sono ricordato quel che mi disse in un’intervista di qualche anno fa il politologo Dominique Moïsi: «Dobbiamo prepararci a una israelizzazione della nostra vita quotidiana». Da quel che ho letto, dai racconti degli amici israeliani e non, immagino che questo voglia dire vivere una vita quasi normale, con gli impegni e le abitudini occidentali sempre più simili da Tel Aviv a Parigi, da Milano a New York, ma con in più la costante consapevolezza che l’orrore potrebbe tornare, in ogni istante.
I parigini continuano ad accompagnare i figli a scuola e alle varie attività (inglese, teatro, sport) come prevede la routine del bambino moderno. Solo che prima di uscire di casa ricevono un’email dal responsabile dell’istituto, che annuncia la nuova procedura: non sostare davanti all’ingresso, lasciare il bambino, uscire senza creare capannelli. Così preparati si arriva all’appuntamento, e nella hall dove di solito i genitori si fermano a parlare, tutti i mobili sono stati spostati, per formare una specie di corridoio che l’addetto alla sicurezza invita gentilmente a percorrere in fretta. I bambini non si rendono conto di niente (o fingono), e non fanno domande, i genitori compiono il breve tragitto senza tante storie e anche con una certa eleganza, siamo a Parigi dopotutto.
Mi è venuto in mente il ricordo vago di un vecchio attentato in Israele, e dopo una ricerca su Google ecco: il primo giugno 2001 a Tel Aviv un kamikaze ha ucciso 21 persone (tra le quali 16 adolescenti) ferme in fila per entrare in discoteca. Solo uno fra i tanti massacri che gli abitanti di Israele hanno dovuto subire negli anni.
Gli israeliani hanno continuato ad andare in discoteca, come i parigini continuano a frequentare i bistrot magari in terrasse, i tavolini all’aperto riscaldati d’inverno. All’ora di pranzo ieri il Pause Café era pieno. Ma la scena era sinistra: i clienti mangiavano e chiacchieravano protetti da due gendarmi con giubbotto antiproiettile fino alle gambe, mitra in pugno, immobili. La forza militare dello Stato a tutela del parmentier de canard e del bicchiere di Bordeaux. Dev’essere questa la nuova – per noi – vita normale.