la Repubblica, 22 novembre 2015
In Belgio, dov’è stato trovato un covo pieno di armi, si cercano due uomini in possesso di una bomba. Intanto in Turchia viene arrestato Ahmad Dahmani, passato ad agosto anche per l’Italia e legato all’attentato del 13 novembre
Il pendolo del Terrore oscilla di 180 gradi. Raggiunge l’altro estremo dell’A2, l’autostrada della jihad che unisce Parigi alla capitale del Belgio. E Bruxelles chiude. Cambia la scena. Non il canovaccio della storia che racconta in una notte di caccia all’uomo. Ma più giusto sarebbe dire agli “uomini”. Salah Abdeslam, l’unico e fuggitivo superstite della cellula del Venerdì 13 e almeno altri due “martiri”, se le indicazioni comunicate venerdì sera dall’Ocam (la struttura di coordinamento dell’Intelligence e della Polizia belga) al ministero dell’Interno sono giuste. Il primo, “ragionevolmente ancora in fuga nella regione di Bruxelles”. Gli altri (della cui identità nulla è dato sapere in queste ore) armati di esplosivi e verosimilmente pronti a farsi saltare in aria alla prima opportunità utile. Questo spiega quei due aggettivi – “imminente” e “concreta” – che qualificano la minaccia e che consegnano la città all’esercito e alla polizia. Ma non racconta fino in fondo una fibrillazione cominciata venerdì notte e sulla cui scena si muovono due nomi. Entrambi figli del Belgio e di Molenbeek. Salah Abdeslam e Ahmad Dahmani. Il primo, nel gruppo di fuoco del Venerdì 13. Il secondo, nelle 72 ore precedenti alla strage, incaricato dei sopralluoghi a Parigi come basista. L’uno e l’altro – lo vedremo – transitati in Italia tra il 31 luglio e il 9 agosto di quest’anno durante una trasferta in Grecia necessaria a raggiungere il rifugio dove Abdelhamid Abaaoud sta entrando nella fase operativa del piano che deve colpire al cuore la Francia e l’Europa.
Gli arresti in Turchia
E dunque. Nella notte di venerdì, mentre il governo belga chiude la capitale del Paese, in un hotel a cinque stelle sulla costa turca, in quel di Managvat, viene ammanettato un giovane di 26 anni. Si chiama Ahmad Dahmani. È di origini marocchine e cittadinanza belga ed è sbarcato con un volo proveniente da Amsterdam all’aeroporto di Antalya il 14 novembre, nei giorni in cui si tiene il vertice del G20 alla presenza di Obama e di Putin. Il 16 novembre si sposta a Managvat e qui attende due siriani, Ahmet Tahir e Mohammad Verd, che lo devono trasferire oltre il confine per riunirlo alle milizie dell’Is. Ma non riuscirà a farlo. Perché con lui anche saranno arrestati anche i due passeur. Ahmad Dahmani non è un pesce qualunque. Ha un peso nelle stragi di Parigi. Ha un legame importante con Salah Abdeslam che passa per un viaggio in Italia. L’Intelligence turca lo sa. E volutamente tace l’operazione ai Belgi (accusati di non aver condiviso alcuna informazione o segnalazione su questo ragazzo). Non ai francesi. Non agli italiani.
In Italia per 10 giorni
Su Ahmad Dahmani, infatti, tra il 14 e il 15 novembre, intelligence e polizie francesi e italiane hanno fatto un gran lavoro. Sanno che trovare lui può significare accorciare il tempo che resta a Salah nella sua fuga. Sanno, infatti, che Ahmad è a Parigi nelle 72 ore che precedono l’orrore. Ed è lì per fare i sopralluoghi. Come dimostra il suo cellulare, catturato in quei giorni dalle celle in corrispondenza dei luoghi degli assalti. Un cellulare cui i francesi sono arrivati sviluppando il traffico telefonico del telefonino che i tre kamikaze del Bataclan hanno gettato in un cestino dei rifiuti prima di entrare nel teatro. Un cellulare che, in quei giorni, dialogherà, come ricostruito dai tabulati, anche con le utenze di Hasna Aitboulachen, la cugina di Abaaoud che morirà nel raid di saint Denis. Ma c’è di più. La Polizia italiana scopre che quel nome – Ahmad Dahmani – è nella lista passeggeri del traghetto che, l’1 agosto scorso parte da Bari con destinazione Patrasso. E in quello che, il 4 agosto, da Patrasso farà ritorno a Bari. Su quelli navi c’è anche Salah Abdeslam. E c’è una macchina con targa belga. La ragione di quel viaggio, cominciato il 31 luglio e finito il 9 agosto (come dimostra la carta di credito di Salah sviluppata dall’Intelligence francese che registra movimenti presso sportelli bancari, stazioni di rifornimento, ristoranti) è che i due – Salah e Ahmad – devono incontrare in Grecia Abaaoud. Perché è li che si nasconde l’uomo che l’Is ha incaricato di pianificare la strage. Ed è la Grecia la porta di ingresso scelta per far transitare lungo la rotta balcanica almeno tre dei nove uomini del commando che colpirà Parigi. Come dimostrerà il passaggio per l’isola di Leros, in ottobre, dello stesso Abaaoud e di due dei kamikaze. Con lo scopo di ottenere il lasciapassare dalle autorità greche necessario a raggiungere la Serbia e di lì, attraverso la Croazia, risalire l’Europa fino al Belgio. A Moleenbek, dove la cellula ha il suo arsenale.
L’arsenale di Laeken
Già, l’arsenale. È l’ultimo segreto di Salah a crollare. Per oltre una settimana, i due uomini arrestati in Belgio il 15 novembre per aver aiutato Salah a rientrare da Parigi a Bruxelles, raccontano la storiella di averlo lasciato nei dintorni dello stadio della Capitale. Poi, Hamza Attou, 21 anni, crolla. Racconta alla Procura federale di Bruxelles che la notte tra il 13 e il 14 novembre quando, insieme a Mohamed Amri, arriva a Parigi sulla golf grigia che deve caricare Salah, scopre l’amico “sconvolto”. Intabarrato in un grosso giaccone che “sembra nascondere una cintura esplosiva”. Ma, soprattutto, che, una volta rientrati a Bruxelles, Salah chiede di essere lasciato davanti ad un appartamento di Laeken, quartiere limitrofo a Molenbeek dove, venerdì notte, arriva la polizia per scoprire un arsenale di armi ed esplosivi.
I 7 siriani in Italia
Salah Abdeslam, Ahmad Dahmani, la strage di Parigi, la cellula franco-belga di Molenbeek, il viaggio in Italia, l’hub greco come punto di ingresso del commando Is. Se questo è il contesto, si capisce anche per quale motivo, in questa settimana di spaventosa fibrillazione europea finiscano nella rete italiana sette cittadini siriani. Non hanno legami con la strage di Parigi, né con chi ne porta la firma. Ma, la loro provenienza geografica comune, così come la loro destinazione – l’isola di Malta – e la scelta di dividersi per il viaggio, li porta dritti in un carcere. Si muovono tutti dall’Austria. Passano il confine con l’Italia e quindi prendono tre strade diverse. Soprattutto, hanno tutti in tasca passaporti falsi. Il 15 novembre, all’aeroporto di Treviso, vengono arrestati Aadel Alaayad, nato il 7 febbraio 1988 in Siria e due fratelli, siriani anche loro. Husain Alkhalaf (1 gennaio 1988) e Rudohan Mohamad Alkhalaf (1 gennaio del 1967). In tasca hanno carte di identità rilasciate dal ministero dell’Interno greco false. Quarantotto ore dopo, il 17, all’aeroporto di Roma-Ciampino, le manette vengono strette ai polsi di Asharaf Alnser (nato il 23 marzo del 1996) e Alale Mahmod (1 gennaio del 1997). Anche loro diretti a Malta. Anche loro provenienti dall’Austria. Anche loro con passaporti (siriani falsi. Gli ultimi tre arresti, il 18 novembre. All’aeroporto di Orio al Serio, la Polizia di Frontiera ferma Fawaz Alali (nato il 1 gennaio 1985) e Hazm Alhag (1 gennaio 1996). Anche loro con un biglietto in tasca per Malta. Anche loro con passaporti siriani non solo falsi, ma usciti dalla mano dello stesso falsario che ha messo insieme i passaporti falsi sequestrati il 17 a Roma Ciampino (un cittadino somalo), come per altro dimostra la ricorrente e maldestra ossessione di indicare come data di nascita il primo gennaio. Resta da capire perché volessero raggiungere Malta. Se per la prevista e prossima riunione degli stati del Commonwealth o per altre ragioni su cui ora indaga la Procura di Roma. Gli ultimi arresti negli aeroporti di Treviso, Orio del Serio e Ciampino di giovani con passaporti siriani risultati falsi Tracce dei due belgi di origini nordafricane nel nostro paese tra il 31 luglio e il 9 agosto prima di raggiungere in Grecia il “capo” Abaaoud