Corriere della Sera, 22 novembre 2015
Intervista a Renzo Piano: «Alla fine ci salveranno le periferie»
Buonasera, senatore.
«Mah…».
Architetto.
«Mah, io sono Renzo. Sa, senatore mi fa sempre un certo effetto». Stanco, provato, con un filo di voce, e tuttavia carismatico. Nella notte di venerdì 13, Renzo Piano non è stato solo spettatore. A Parigi ci vive, sotto i colpi degli assassini dell’Isis ha perso un giovane collaboratore, lo studio parigino è a lutto. Dunque, una premessa: «È stata una settimana drammatica. Non voglio sfuggire alle sue domande. Ma la vicenda di Parigi è talmente grande che il silenzio è per me l’unica dimensione ammissibile».
La strage di Parigi però matura e nasce nelle banlieue, nel degrado delle periferie metropolitane. E Renzo Piano ha legato molto di sé al recupero delle periferie, specialmente negli ultimi due anni, quando, da senatore a vita, ha devoluto tutto il suo stipendio alla creazione di un gruppo di giovani architetti (il G124, dal numero della sua stanza a Palazzo Giustiniani) che si occupa del «rammendo» urbano, ovvero della ricucitura delle banlieue nostrane lacerate da abbandono e incuria. Quelle di cui ha parlato Renzi dopo la strage promettendo interventi. Piano, con i suoi interventi circoscritti ma dal grande peso ideale, ha già lavorato su Catania, Roma, Torino. «All’ultimo esame di maturità un quarto dei ragazzi ha fatto il tema sulle periferie, l’argomento è sentito dai giovani», dice. In queste ore chiude il progetto milanese di quel Giambellino un tempo cantato da Gaber e poi teatro di occupazioni abusive, tensioni sociali, spaccio. «Settant’anni senza che nessuno se ne occupasse, sa. Le parlo del Giambellino, ma da lì il messaggio è universale. Al Giambellino ci sono seimila persone di venti nazionalità diverse».
Integrazione e condivisione sono possibili?
«Sì, sono valori».
Noi sulle periferie oscilliamo: rimozione, emergenza, riscoperta, nuova rimozione…
«Vero. Proprio a questo ho pensato quando Napolitano mi ha fatto senatore a vita. Io sono un figlio di periferia, la periferia genovese, e le periferie sono nel mio cuore».
Le definisce spesso «fabbriche di desideri».
«Nel bene e nel male. Sono la fonte di energia della città. Ma vede, bisogna buttare acqua, non benzina sul fuoco, in un attimo tutto si infiamma».
Di chi è la colpa?
«Anche nostra. Bisogna cercare le perle, smetterla di denigrare le periferie e decidersi ad amarle. Giovedì di questo parlerò al presidente Mattarella, seduti nella mia stanza, al mio tavolo di compensato (lo scriva... non è rococò)».
Parliamo delle perle, allora, le scintille d’umanità del Giambellino.
«C’è Ulla, che apre la porta a chiunque abbia bisogno. Fabrizia, che insegna italiano a tutti. Emis, con il suo rap, andato via e tornato. Mina, egiziano, che fa il rammendo elettrico. Vito il macellaio. Barbara che fa l’orto di Gianbelgarden. Don Renzo. I ragazzi di Dinamoscopio che hanno salvato il mercato. Noi abbiamo abbattuto il muro e il mercato s’è scoperto collegato al parco. È bene abbattere i muri, sa?».
In Europa li rialziamo, Schengen agonizza.
«Alzare i muri non serve proprio a niente».
Ci crede davvero?
«Ci credo, sì, ci credo: è il mio destino, del resto. Non sono un costruttore di muri, ma di ponti. E di luoghi dove la gente possa trovarsi. Dobbiamo assolutamente tener duro».
Dal degrado delle periferie nasce il male? L’ambasciatrice francese a Roma sembra dubitare di questo legame. Molti vedono quasi come giustificazionismo ogni tentativo d’analisi economica e sociale del problema.
«Dal degrado nasce il male, sì. Vede, la pace è una costruzione che si fa giorno per giorno».
Ma allora la nostra dimensione naturale è la guerra? La lotta tra noi?
«No, non voglio crederlo. La pace ci è costata secoli. E si costruisce facendo luoghi di pace. Sta nelle piazze, nei posti della nostra convivenza. Lì, in un certo senso, sparisce persino la paura».
Quanto ci vorrà a cambiare le periferie?
«Per salvare i centri storici abbiamo impiegato anni. Serve tempo. E le periferie sono meno fotogeniche. Ci vogliono scintille. Come Rosalba, che dice alla gente del Giambellino “portatevi le sedie in cortile e guardiamo il cine assieme”…».
Alla fine le periferie non ci perderanno?
«Al contrario, ci salveranno. Penso ancora al nostro Giambellino. Ci sono 393 monolocali vuoti perché misurano 25 metri quadrati quando una legge sciagurata fissa l’abitabilità minima a 28,8. Pensi se fossero residenza di studenti, due per appartamento, ottocento ragazzi sui seimila abitanti del quartiere. Si cambia così, e recuperando il parco di via Odazio e aprendo i cortili… così lei porta linfa vitale».
Cosa si aspetta da Renzi? Promette interventi.
«Non lo so. Ad Atene l’eletto diceva: vi prometto di rendere la città più bella di come me l’avete consegnata. Per loro il bello e il buono coincidevano».
Dietro i suoi «rammendi» c’è l’idea «sovversiva» di partire dal basso, dalla gente…
«La gente bisogna ascoltarla. Non per fare tutto ciò che ti chiede, perché questa non è partecipazione, è soltanto sbagliato. Ma a volte le voci più importanti sono quasi impercettibili».
Salviamo il Giambellino, guardando Parigi.
«Usando la lente d’ingrandimento vediamo valori universali che si applicano alla periferia di Parigi, che è enorme e pericolosissima. Parigi è un problema che si risolve attraverso tante cose di cui ciò che faccio io è piccola parte. Perciò non voglio parlare, preferisco fare cose concrete».
Me ne dica una.
«Sto costruendo il nuovo Palazzo di giustizia al confine della banlieue nord».
Dove?
«A Porte de Clichy, accanto a Saint-Denis»
Proprio Saint Denis...
«Sì. A mille e ottocento metri da… lì».