Corriere della Sera, 22 novembre 2015
L’Onu firma la risoluzione anti-Isis, ma Russia e Usa rimangono lontane
Nessuno se l’è sentita, al Consiglio di sicurezza dell’Onu, di votare contro una risoluzione anti-Isis proposta dalla Francia. Non si poteva negare solidarietà al bersaglio principale dei terroristi, non si poteva respingere la copertura giuridica reclamata da Parigi per chi volesse incrementare il proprio impegno contro il Califfato. Ma se l’unanimità raggiunta all’Onu è di certo una buona notizia, non dobbiamo consentirle di portarci fuori strada: in realtà gli sforzi di Hollande per far nascere contro l’Isis una grande coalizione militare e politica che faccia perno sugli Stati Uniti e sulla Russia stanno incontrando ostacoli crescenti, a dispetto del diluvio di bombe e di missili che entrambi fanno quotidianamente cadere sulle roccaforti degli stragisti.
Le grandi manovre diplomatiche che cominciano domani potrebbero risultare decisive per capire in quale direzione stiamo marciando. Il primo a muovere sarà Putin, che dopo otto anni di assenza si recherà a Teheran e forse incontrerà anche il «leader supremo» Khamenei. Sulla carta Russia e Iran stanno dalla stessa parte: con Assad e contro l’Isis. Eppure tra Mosca e Teheran regna il sospetto reciproco di voler emarginare l’altro, e se Putin si è deciso a prendere l’aereo è per offrire ma anche chiedere ga-ranzie all’Iran. Il capo del Cremlino, che intende trarre profitto dall’idea in origine sua della grande coalizione, non vuole che Teheran metta i bastoni tra le ruote al già flebile interesse americano. E nemmeno a quello turco, o saudita.
Martedì, poi, Hollande sarà ospite di Obama. La coreografia statunitense verso l’alleato colpito è scontata, e sarà sincera. Ma una cosa è appoggiare le incursioni aeree francesi contro l’Isis, cosa ben diversa è agire in pieno coordinamento con Mosca. Washington riconosce che i bombardamenti russi, dopo l’abbattimento del volo charter sul Sinai, si sono concentrati contro i gruppi jihadisti. Ammettono anche, gli Usa, che Putin appare sincero e più flessibile di un tempo, come Obama avrebbe constatato di persona nel lungo incontro tenutosi all’ultimo G20. Ma sulla questione Assad, le distanze sono ancora proibitive. Il Cremlino ha fatto sapere più volte alla Casa Bianca di «non sentirsi sposato» con Bashar al Assad. Lo schema evocato ufficiosamente dalle due parti prevede una nuova (per l’America, e anche per la Francia) intesa temporale: in parallelo alla eliminazione militare dell’Isis scatta il primo gennaio un processo politico che in diciotto mesi modifica la Costituzione siriana e porta alle elezioni che devono sancire l’uscita di scena di Assad. Ma lui, il presidente-carnefice (alla pari con i suoi avversari) è d’accordo? No, non lo è. Allora è Mosca ad offrire garanzie in proposito? No, Lavrov sottolinea anzi che non devono esistere «condizioni preliminari» all’accordo politico. Senza intesa su Assad non potrà esserci la grande alleanza contro l’Isis. Putin lo sa (e va a verificare come la pensano gli iraniani), lo sa la Turchia, lo sa l’Arabia Saudita.
E lo sa, beninteso, François Hollande che giovedì sarà a Mosca. Putin evoca la guerra al nazismo, elogia anche il patto di Yalta, e fa sentire il presidente francese un po’ come Roosevelt. Ma la Francia ferita ha bisogno anche di realismo, e se Putin intende dire qualcosa di importante l’incontro con il collega europeo potrebbe essere una buona occasione.
La guerra all’Isis comporta enormi complicazioni legate all’equilibrio oggi mancante tra sunniti e sciiti, quell’equilibrio al quale George Bush dette il colpo di grazia nel 2003 portando gli sciiti al potere a Bagdad e suscitando le reazioni, anche le più estreme, dei sunniti. Ristabilire pesi e contrappesi mediorientali è un lavoro che nel migliore dei casi durerà anni. Ma nulla partirà senza una intesa Usa-Russia contro l’Isis, che Hillary Clinton sembra concepire più di Obama così come più di Obama è favorevole ad azioni di truppe speciali americane sul terreno.
A Washington si fa ormai sentire la campagna elettorale, eppure Obama dovrebbe sapere che il calendario dei terroristi non è quello della democrazia. Serve una volontà politica sollecita e coraggiosa da parte sua come da parte di Putin. L’alternativa è favorire l’accelerazione stragista dell’Isis e lasciare che prosegua il tormento della Siria.