Corriere della Sera, 23 novembre 2015
Giovanni Lovisetti, l’italiano al governo di Foshan che a ping pong batte tutti
La stampa di Pechino l’ha battezzata «la legione straniera di Foshan». Foshan è una città di 7,5 milioni di abitanti nella provincia del Guangdong e la legione è in realtà un drappello di cinque professionisti internazionali assunti come funzionari governativi locali. Molti occidentali lavorano per imprese private in Cina, ma questo è un fatto eccezionale: la potente burocrazia governativa cinese che arruola esperti stranieri. Ed è un fatto che ci riguarda: tra i cinque c’è l’avvocato Giovanni Lovisetti, 33 anni, milanese.
Ci parla al telefono dal suo ufficio del Bureau of Commerce (nella pausa delle 14). Com’è arrivato in Cina? «Lavoravo per lo studio legale Zunarelli che ha un ufficio anche a Shanghai, ho deciso di approfondire le mie conoscenze sul Paese con un master all’università Tsinghua. Il mio professore mi ha detto che a Foshan cercavano un professionista con il mio profilo. Ho mandato il curriculum, ci sono stati due colloqui via Skype e poi mi hanno convocato. Così dall’estate scorsa faccio parte di questo team che ha il compito di far conoscere meglio Foshan e le sue opportunità all’estero, per attrarre investimenti». Visto che siamo in argomento, il funzionario italiano prestato alla causa cinese spiega che Foshan è cresciuta a un ritmo medio del 17% l’anno dal 1989, ha un Pil di 113 miliardi di dollari, il reddito pro capite è di 15.980 dollari, superiore a quello di Pechino e Shanghai. E il suo stipendio avvocato Lovisetti? «Guadagno il triplo di un collega cinese e questo ha creato qualche polemica e invidia sui social network di qui, perché anche in Cina l’economia rallenta e i giovani laureati faticano a trovare un buon impiego, soprattutto statale». In più, il governo di Foshan aveva messo a disposizione un appartamento gratuito. «Ma io non vado d’accordo con gli scarafaggi e quelli che ho visto lì erano grossi. Per questo la casa me la sono trovata da solo e me la pago».
Stipendio triplo rispetto ai parigrado cinesi, ma pur sempre più basso di quello di un avvocato italiano in trasferta. «Certo, ho fatto un investimento a tempo. In questa posizione ho accesso a informazioni che non avrei mai potuto avere, capisco il modo di ragionare dei funzionari pubblici di qui. Ora cerco di dare il massimo sostegno alle imprese italiane che vogliono investire, sto in ufficio dieci ore al giorno e più per via del fuso orario: quando in Cina sono le 17.30 a Milano sono solo le 8.30 del mattino».
Com’è trovarsi fianco a fianco con colleghi della Cina profonda? Problemi? «Anzitutto di mentalità: l’obiettivo del nostro team (composto da una inglese, un americano, un uruguaiano e una messicana, ndr ) è di trovare un’azienda che voglia investire; quello dei burocrati pubblici cinesi di solito è far contento il capo e quello del capo è di accontentare il suo capo, risalendo per tutta la catena gerarchica, fino a Pechino».
Nell’apparato statale della Repubblica popolare è in corso una campagna anti-corruzione a anti-sprechi. Come la vive? «Io sono arrivato che era già in corso, mi hanno raccontato che fino al 2013 quando si viaggiava per lavoro si andava in hotel a 5 stelle, ora non più, e poi c’erano i banchetti. Ora le disposizioni vietano anche di accettare regali, compresi i “dolcetti della luna”, popolarissimi per le festività». Però è rimasta la tradizione di celebrare gli affari con il rito del «gambei», la famosa serie di brindisi a base di Baijiu, il liquore locale che brucia lo stomaco. «Eh sì, mi è capitato di doverne bere mezza bottiglia, ho superato la prova, mi hanno fatto i complimenti perché ero rimasto sobrio». Tempo libero? «Sono diplomato in violino, ma a Foshan i concerti sono rari, ho ripiegato sul pingpong che qui è sport nazionale. I colleghi cinesi non credevano che fossi bravo, fino a quando non li ho battuti tutti, capo compreso».
L’idea di Foshan è astuta: far dialogare le imprese straniere con funzionari internazionali che parlano la loro lingua e hanno la stessa mentalità. I «cacciatori di teste» cinesi hanno scelto i cinque con cura: in particolare Abbey Heffer, britannica, 23 anni, laureata alla Exeter University, bionda, occhi azzurri. Qualcuno sui social network ha chiesto se Abbey sia stata assunta per il suo aspetto. L’avvocato ride: «Heffer? È vero che l’obiettivo dei cinesi era quello, ma è in gambissima, di assoluto valore».