la Repubblica, 23 novembre 2015
Djokovic batte Federer, vince il Master e chiude una stagione quasi perfetta
Questa non è la ginnastica artistica e nemmeno il pattinaggio sul ghiaccio, nei quali il punteggio viene attribuito secondo parametri estetici, come sapete.
Questa è ormai una sorta di atletica con racchetta, e me l’ha confermato un ripresa televisiva, diffusa dagli enormi schermi che incombono sul campo. Le gambe muscolate e pur sottili di Novak Djokovic erano riprese nei passettini iniziali, rapidissimi, i piedi ravvicinati, sinchè, d’un tratto, eccole allargarsi, scattando, e infine scivolando su un terreno decisamente non adatto ad alcunchè di simile.
Al confronto i passi di Federer ricordavano i nostri, del giorno in cui fummo giovani e capaci di scattare. Niente di simile a quelli di Nole. Certo, nei gesti Federer era decisamente più elegante, l’avambraccio compiva nell’aria circoli sublimi, il polso si fletteva a tratti, per assegnare violente carezze alla palla, che Djokovic non sempre sapeva imitare. Ma Nole resterà il primo del mondo sinch* non si affermerà un avversario non meno atleta di lui, e questi non potrà certo essere un fenomeno del gesto quale Federer.
Lette simili considerazioni, l’utente televisivo prima ancora dell’aficionados non potrà non dissentire, e chiederà prontamente: «Come mai, non più tardi di due giorni fa, Federer era riuscito a battere il fenomeno atletico con il punteggio di 7-5,6-2?». Credo di potergli rispondere, e non certo per difesa professionale, che l’incontro non era decisivo come questo, e che Nole si muoveva peggio di quanto non l’abbia ammirato nell’affermazione atletica di stasera.
Questa domenica, la condizione atletica ha permesso a Djokovic di cadere soltanto 14 errori gratuiti contro 31, e di limitare lo scarto dei colpi vincenti, in cui Federer si afferma, ma per la miseria di tre tiri di scarto. È chiaro che lo scarto di eleganza gestuale tra i due rimane, accentuata dal gesto del rovescio ad una mano, nei confronti di quello bimane. È altrettanto chiaro che i passati successi di Federer gli guadagnano applausi rapiti di un pubblico spesso ipnotico, affascinato dalla storia ancor prima che dal presente. Ed è non meno viva la gratitudine dello scriba, al quale una sessantennale esperienza ha insegnato, quanto meno, tutta l’obiettività possibile, tanto da prediligere la bellezza dello spettacolo nei confronti del nome del vincitore.
Detto questo, non devo dimenticar di citare ciò che in qualsiasi attuale scuola di giornalismo mi costringerebbe all’espulsione, e cioè lo score, il risultato aritmetico del match. Due errori di diritto, e una difficile volè finite in rete sono costate a Roger il break determinante del primo set, fin dal terzo game. La possibilità di un break a favore sono scomparse in seguito a un errore di rovescio nel sesto game. E un nuovo break ha suggellato il primo set. Un secondo, certo più equilibrato, foriero di un entusiasmo spesso eccessivo in favore di Roger, è continuato sino a far credere ad un tiebreak, evitato da Djokovic e terminato con una fine indegna di un match, se non grande, spesso mirabile: un doppio errore di Federer. Speriamo che, come ha affermato, continui ad affascinarci ancora per un anno.
Finale: Djokovic b. Federer 6-3, 6-4