la Repubblica, 23 novembre 2015
I furbetti della Sanità costano due miliardi di euro
Una ricetta rossa per tutta la famiglia. Il farmaco contro la pressione del nonno, gli antibiotici dei figli e l’antistaminico per il padre: tutti prescritti a nome di una sola persona, l’unica che non paga il ticket. L’Italia è la terra degli esenti e questo è solo uno dei tanti sistemi utilizzati per evitare la tassa sanitaria. Sarà odiosa, ingiusta e spingerà pure tanti cittadini a rivolgersi al privato ma è un dato di fatto che a pagarla alla fine sono in pochi.Solo un quarto di visite specialistiche, esami e prescrizioni farmaceutiche riguardano persone che compilano il modulo per il pagamento del ticket. In tutti gli altri casi le Asl non incassano un centesimo. Se si vanno a vedere le “teste” cioè quanti sono i pazienti che si rivolgono in un anno al sistema sanitario, gli esenti sono circa la metà, ma consumano di più in ragione del loro status, perché hanno problemi di salute e comunque perché sanno di non pagare e si fanno meno problemi a chiedere controlli.L’evasione fiscale diffusa che affligge l’Italia non risparmia la sanità, che in più ci mette del suo, tra controlli scarsi, impiegati che non conoscono bene le regole (quando, come nel recente caso del Lazio, non tentano loro stessi la truffa) e una normativa che fa acqua. Così in un anno entrano nelle casse delle Regioni attraverso il ticket 3 miliardi di euro, una cifra da poco se si pensa che il fondo sanitario è di 111 miliardi.Quanti sono i falsi esenti? Un dato preciso non esiste, ovviamente, anche perché nella categoria degli esenti rientrano varie tipologie di persone. Ci sono quelli che non pagano in ragione di una patologia (e consumano 41 milioni di ricette all’anno) o di una invalidità (32 milioni di ricette), e quelli che sono sollevati dalla tassa per il reddito (67 milioni di ricette): perché hanno più di 65 anni o meno di 6 e la loro famiglia guadagna meno di 36mila euro all’anno. L’alta diffusione dei falsi invalidi è nota, ma forse i numeri maggiori, in fatto di evasione di ticket, si hanno nella terza categoria, quella legata al reddito.In molte regioni basta un’autocertificazione per essere esentati e i controlli a campione non sono molti. Secondo alcune stime, circa il 20 per cento degli esenti sarebbero per vari motivi irregolari, che significa il 10 per cento di coloro che si rivolgono al sistema sanitario. Si può dunque stimare che l’evasione faccia mancare alle casse delleregioni circa 1,8 miliardi all’anno. Il dato è solo indicativo ma se abbinato ad altri più certi rivela l’esistenza di un problema serio. Ci sono infatti regioni dove gli esenti consumano intorno al 60 per cento delle prestazioni, come Lombardia Veneto, Friuli, Liguria, Emilia, Toscana, Umbria. E altre, al sud, che viaggiano non molto sotto o addirittura oltre l’80 per cento: Campania, Sicilia e Calabria. Non ci sono ragioni che giustifichino una tale differenza. È anche a causa della diffusione dell’esenzione e della difficoltà dei controlli che il lavoro sull’attesa riforma di tutto il settore dei ticket ha rallentato. L’idea era quella di agganciarsi all’Isee e di limitare alcune esenzioni per patologie croniche quando gli interessati sono benestanti. Intanto si va avanti con 21 tasse diverse, considerato che ai ticket storici nel 2011 si è aggiunto un “superticket” che ogni Regione ha declinato a modo suo. Qualcuno nelle scorse settimane ha ipotizzato nuovi aumenti, poi esclusi dalle regioni perché farebbero solo arrabbiare i cittadini e spingerebbero chi può permetterselo a rivolgersi ancora di più al privato, che ha prezzi concorrenziali e liste di attesa inferiori. E meno non esenti negli ambulatori significa anche meno soldi nelle casse del pubblico.Per ora i furbetti del ticket la stanno avendo vinta.