la Repubblica, 23 novembre 2015
La storia di un pescivendolo finito in tribunale per tre astici e due aragoste
È stato accusato di maltrattamenti su animali. Ha dovuto trovarsi un avvocato, e affrontare un processo penale. Non ha “seviziato” un cane o un gatto però. Ma tre astici e due aragoste. Nel suo banco al mercato li teneva, vivi, sul ghiaccio e con le chele fasciate da elastici. Una pratica diffusa, ma vietata. Perché anche i crostacei soffrono e hanno diritto a essere tutelati. Anche dalla legge.Nei guai giudiziari è finito il titolare di un banco di pesce (assistito dall’avvocato Gianluigi Marino), che ogni giorno vende i suoi prodotti in due mercati di Torino. Aveva esposto «in un banco vetrina tre astici e due aragoste direttamente sul ghiaccio, fuori dall’acqua», agendo così, secondo il pm Antonio Rinaudo che aveva firmato il decreto di citazione a giudizio, «con crudeltà» nei confronti dei crostacei. Animali che comunque di lì a poco, sarebbero finiti cucinati in una pentola, e che, anche per questo, non sono stati sequestrati. Ma il reato di cui è stato accusato rientra nei delitti contro i sentimenti degli animali, e chiunque li sottopone a sevizie, fatiche e maltrattamenti rischia la reclusione da tre a 18 mesi o la multa da 5 mila a 30 mila euro.Il processo si è concluso con l’assoluzione per «la tenuità del fatto», ma l’intero iter giudiziario ha destato curiosità, tanto che la sentenza è stata ora pubblicata su “Diritto penale contemporaneo“, una delle principali riviste on line del settore legale.A stupirsi per primo di dover processare il pescivendolo è stato per altro lo stesso giudice, Sergio Favretto, magistrato onorario che a nome della terza sezione penale del tribunale ha pronunciato la sua sentenza di assoluzione. «Il giudice – si legge nel dispositivo – valutando con stupore come la vicenda (inerente a tre astici e due aragoste) abbia coinvolto ben quattro agenti della polizia municipale ed allertato un veterinario dell’Asl, come si sia trattato di cinque crostacei destinati a vendita e cottura, come non si possa affatto parlare di maltrattamenti voluti a danno degli animali, ma di normali e diffuse tecniche di momentanea conservazione in ghiaccio, ritiene pertinente l’applicazione della non punibilità per tenuità del fatto». E aggiunge «si può solo convenire su una rimproverabilità quasi simbolica».A chiamare i vigili era stata un’animalista che si era accorta dei crostacei. E quando il caso era arrivato in procura, non era ancora stata introdotta la “tenuità”. «È una saggia applicazione di questo istituto – ha commentato l’avvocato Gianluigi Marino – anche se la sofferenza degli animali andrebbe salvaguardata prima a livello amministrativo con controlli da parte delle autorità competenti».