Corriere della Sera, 23 novembre 2015
La pena di morte in Arabia Saudita, dove un ragazzino è stato condannato alla decapitazione per aver contestato il re e dove uno scrittore è stato arrestato in un caffè di Abha perché qualcuno l’ha sentito bestemmiare mentre guardava la Champions in tv
Quando il Salone del Libro di T orino ha deciso di non ospitare più l’Arabia, dove un ragazzino è condannato alla decapitazione per aver contestato il re, il governo saudita ha risposto di leggere le gravi motivazioni che giustificano quella sentenza. Ora che un poeta palestinese rischia lo stesso taglio della testa, con la colpa d’aver abbandonato la fede, chi ha letto le carte ha concluso che il caso è ancora peggio del precedente. L’ «apostata» Ashraf Fayad è stato arrestato in un caffè di Abha mentre guardava in tv la Champions: qualcuno l’ha sentito bestemmiare, un religioso gli rinfaccia Le istruzioni all’interno, versetti satanici scritti nel 2008. Gli amici sostengono, in realtà, che Fayad paga l’avere postato il video d’una pubblica esecuzione: uno spettacolo frequente nel regno di spade d’Arabia, quest’anno detentore del record di 151 pene capitali – dietro solo a Cina e Iran – e primatista mondiale della decapitazione di cittadini stranieri. Assassini o narcos, rapinatori o violentatori, oppositori o apostati, il boia è tornato a lavorare sodo come nei taglienti anni novanta anche se Riad non ama che se ne parli: un po’ come accade per i traffici con l’Isis o i coinvolgimenti nelle guerre siriane e bahreine. «Quel che conquistammo con la spada – è il motto della dinastia wahabita –, lo conserveremo con la spada»: lo Spadone tagliateste è ovunque, anche nel simbolo nazionale. Il poeta Fayad, che nega d’aver mai offeso Allah ma «se l’ho fatto chiedo scusa», in primo grado pensava d’essersela cavata con un po’ di galera e 800 frustate. Macché: solo Dio può scusarti, gli han detto in appello, e comunque dopo il patibolo. C’è ancora un grado di giudizio, poi l’eventuale grazia del re. A Torino, i sauditi non saranno più gli ospiti d’onore. Però si parlerà di cultura (e poesia) araba: e se gli scrittori invitati provassero a dire, anche loro, not in my name?