Corriere della Sera, 23 novembre 2015
Fino a qualche anno fa andavano in spiaggia in bikini, poi sono diventate le poliziotte del Califfato. Dua, Aws e Asma: tre siriane si raccontano al New York Times
Raqqa, 2012. Dua, Aws e Asma «appartenevano a una generazione di donne siriane che godeva di un’indipendenza assai superiore al passato. Si mischiavano liberamente ai ragazzi, socializzavano e studiavano in una città caratterizzata da diversità religiosa e da costumi piuttosto aperti. Molte donne si vestivano con abiti sportivi, lasciando scoperte le ginocchia e le braccia d’estate, e truccandosi. E anche se alcune abitanti più conservatrici di Raqqa indossavano l’abaya e il velo, un numero crescente frequentava l’università, sposandosi sempre più tardi. La maggior parte delle coppie sceglieva liberamente il partner».
Raqqa non è sempre stata la capitale del Califfato, un luogo dove le donne sono obbligate a indossare veli tripli – pena le frustate delle poliziotte della brigata Al Khansaa —, dove si può uscire di casa solo se accompagnate da un parente maschio e dove chi non rispetta la sharia rischia decapitazioni e lapidazioni. Un confronto illuminante tra il presente e il passato emerge da un articolo pubblicato sul New York Times dalla giornalista Azadeh Moaveni, basato sulle interviste con tre ventenni siriane scappate in Turchia. Non è il primo articolo che racconta la situazione delle donne a Raqqa. «Ma sentivo che ci fosse il bisogno di una narrazione più sobria, meno sensazionalistica. A mio parere, finora la maggior parte degli articoli sulla brigata Al Khansaa sono stati privi di contesto», dice al Corriere la reporter irano-americana, ex inviata di «Time» a Teheran e nota per il libro «Lipstick Jihad». «Non emergeva la società siriana, non veniva raccontata questa generazione di donne, che non erano islamiste intransigenti eppure si sono unite a una milizia. Ma allora qual era la loro motivazione?».
Il passato e il presente di Raqqa sono divisi da pochi anni. Dal 2014, quando l’Isis – o come la chiamano gli abitanti «Tanzeem», l’organizzazione – ha preso il controllo della città (e in parte già nel 2013, sotto il dominio dei qaedisti di Al Nusra), la vita è cambiata del tutto. Le cugine Aws e Dua, 25 e 2o anni, l’una studentessa di Letteratura di famiglia borghese e l’altra più povera con il papà contadino, erano accomunate dall’amore per il cinema – la prima Hollywood, l’altra Bollywood – e le passeggiate. La terza ventenne, Asma, studiava Economia, andava in spiaggia in bikini, aveva lasciato un fidanzato che voleva farle portare il velo. Ma nel 2014, pur non aderendo all’ideologia dell’Isis, Dua e Aws hanno sposato due miliziani – la prima costretta dai genitori, la seconda per romanticismo («Aveva visto troppi film con Di Caprio»). Era un modo per tutelare le proprie famiglie e c’erano vantaggi nell’avere un marito «foreign fighter» (salario, appartamento con cucina europea). Si erano perfino innamorate, anche se costrette a usare i contraccettivi perché i loro sposi erano destinati a diventare dei kamikaze, e la prole li avrebbe resi più restii al sacrificio. Tutte e tre si sono unite alla Brigata Al Khansaa, l’unità di polizia femminile, creata per far rispettare le norme della sharia. «Venti frustate per il velo troppo aderente, cinque per il trucco, altre cinque per chi non era docile una volta arrestata».
Questa vita è diventata a poco a poco insostenibile. Dua vedeva punire ragazze che una volta erano sue amiche. Tra i compiti di Asma, che guardava di nascosto la tv in casa, c’era quello di incontrare le «migranti» occidentali al confine turco e di accompagnarle a Raqqa: fu lei ad accogliere le tre adolescenti britanniche Kadiza, Shamima e Amira. Rimase sconcertata: «Erano giovani, minute, e così felici di essere arrivate, tutte sorrisi e risate». Lei, costretta ad aderire all’Isis, non capiva come potessero averlo scelto liberamente. «All’inizio – spiega Moaveni – avevo incontrato queste donne siriane per raccogliere notizie sulle occidentali. Ma ho capito subito che erano loro la storia più importante, le loro vite erano state distrutte da Assad. La loro storia non era stata raccontata». Dua, Aws e Asma hanno scelto la fuga una volta vedove, costrette a risposarsi senza nemmeno aspettare i tre mesi prescritti dalla sharia. «Eravamo solo distrazioni temporanee per combattenti suicidi. Senza scelta, senza dignità».