la Repubblica, 23 novembre 2015
Gli «emiri della propaganda», gli autori dei video dell’orrore. Sono i registi dello Stato Islamico quelli che gestiscono l’immagine del Califfato come fosse la Coca-cola, tra effetti speciali, luci soft ed esecuzioni ripetute. Prendono sette volte più dei combattenti. Hanno auto, case, non pagano le tasse
Un salario sette volte superiore ai combattenti. La casa di rappresentanza, la Toyota di servizio, l’esenzione totale dalle imposte. Sono alcuni dei privilegi degli “emiri della propaganda”. Così vengono definiti nello Stato Islamico gli esperti di mass media, gli addetti alla comunicazione, un esercito parallelo che combatte attraverso i video o sui social media.
«L’Isis gestisce la sua immagine come fosse la Coca Cola o la Nike», osserva un esperto d’intelligence Usa. Lo rivela un’inchiesta del Washington Post, realizzata attraverso numerose interviste con questi professionisti della guerriglia mediatica. Ne hanno intervistati sette in un carcere del Marocco. Altri si sono lasciati intervistare dopo aver tradito la causa ed essersi rifugiati all’estero. Alcuni hanno accettato di rispondere con nome e cognome: Abu Hajer, Abu Hourraira, e Abu Abdullah al-Maghribi. Il più vecchio ha 37 anni, il più giovane 23. Hanno seguito il corso di addestramento rapido per “operatori dei media” organizzato dallo Stato Islamico nei territori sotto il suo controllo in Iraq e in Siria. Hanno lavorato presso il quartier generale della propaganda vicino ad Aleppo: lì viene prodotto il magazine online Dabiq, e ci sono gli studi di al- Furquan, la principale casa di produzione di video. Sotto il comando di Abu Muhammad al-Adnani, portavoce ufficiale dell’Is.
«Gli addetti ai media sono più importanti dei miliziani combattenti – dice Abdullah al-Maghribi – guadagnano 700 dollari al mese esentasse più tutti i soldi per cibo, vestiti e materiale elettronico, la casa pagata, l’automobile, le videocamere Canon, gli smartphone Galaxy». La ragione di questi privilegi sta nell’importanza strategica che i jihadisti assegnano alla comunicazione. Le testimonianze convergono nel descrivere un apparato propagandistico incredibilmente sofisticato, che detta le sue regole perfino ai combattenti. La vita quotidiana nei territori controllati dallo Stato Islamico sembra quasi un “Truman Show”, versione horror. Il Washington Post lo descrive come un «reality tv medievale», data l’onnipresenza delle videocamere che arrivano a comandare tempi e modi delle battaglie o delle esecuzioni di ostaggi. Tutto deve seguire la sceneggiatura, i soldati hanno delle parti precise, con dialoghi da imparare o da leggere sugli schermi.
Gli “emiri” della propaganda sono gli autori dei video che hanno avuto ampia circolazione in Occidente, le decapitazioni di ostaggi, tra cui diversi giornalisti americani. Analizzati da esperti Usa, quei video hanno rivelato la professionalità e sofisticazione degli autori: sono il frutto di riprese plurime, montaggi, coreografie, alta qualità del suono e dell’illuminazione, l’uso di software per gli effetti speciali, l’editing digitale per sovraimporre immagini. Alcune scene di esecuzioni sono state ripetute fino a quando i registi non erano soddisfatti. Nel caso di combattenti jihadisti morti in guerra, i professionisti dei video sono “intervenuti” sui cadaveri per ricomporli, curvare le labbra in un sorriso, alzare le dita verso il cielo. Così le immagini dei “martiri” corrispondono a ciò che la leggenda e l’ideologia dicono di loro.
L’immensa di produzione di video per la propaganda, è suddivisa in due ampie categorie a seconda dei destinatari. Da una parte ci sono i filmati dell’orrore, studiati per dare la massima visibilità alle decapitazioni, alla ferocia che si abbatte contro le vittime del terrorismo: questi sono destinati all’Occidente, per impaurirlo; e alle giovani reclute potenziali, attratte da questo “marketing” della violenza estrema. Dall’altra parte invece c’è il filone “soft”: tutti i video costruiti per descrivere lo Stato Islamico come una sorta di paradiso in terra, un’area territoriale ben governata, dove dominano l’ordine e il benessere, nel rispetto dei codici di comportamento islamico.
Dall’inizio della guerra civile in Siria, lo Stato Islamico è riuscito a reclutare ben 30.000 combattenti stranieri, che hanno raggiunto i suoi ranghi da 155 paesi. Stando alle testimonianze dei fuoriusciti, la maggioranza di loro sono stati “convinti” attraverso il proselitismo dei video e della propaganda online.