Corriere della Sera, 23 novembre 2015
Salah Abdeslam è ormai diventato un fantasma
Alla stazione di polizia di Molenbeek hanno ricevuto almeno sessanta segnalazioni. «Lo vedono ovunque, ma non è da nessuna parte» commenta l’agente all’ingresso di questo commissariato spoglio, due uffici in fondo al cortile di un caseggiato popolare dove sui muri si leggono molte scritte che inneggiano allo scontro con le forze dell’ordine. Salah Abdeslam non è solo il grande latitante della strage di venerdì 13, è ormai diventato un fantasma, che aleggia ovunque ma non si trova in nessun luogo.
Il quartiere dove è cresciuto sembra abbandonato. Le strade sono vuote, in giro non si vede nessuno. Ma non importa, tutti sostengono di averlo visto, di averlo sentito. A cominciare dal fratello Mohamed, che in alcune dichiarazioni, spesso in contrasto tra loro, è tornato a parlare. «Ho molta speranza che si arrenda, anche se ha paura. Lui non era radicalizzato. È stato manipolato, ma non sappiamo da chi e per questo vogliamo che resti in vita e possa rispondere». Sembrava quasi un appello, ma è difficile che l’uomo che venerdì 13 ha portato a destinazione i kamikaze dello Stade de France possa rispondere. Ancora ieri sera le forze speciali hanno fatto irruzione in un appartamento della zona che sarebbe stato affittato da una persona vicina al ricercato numero 1 dalle polizie di tutta Europa. Fonti investigative belghe hanno riferito che si sarebbe fatto vivo per ben due volte via Skype con due amici di Molenbeek, chiedendo un aiuto per tornare in Siria.
Le autorità francesi sono più caute nel confermare un dettaglio in apparente contrasto con l’ipotesi che Salah Abdeslam sarebbe un reietto anche per l’Isis a causa del suo comportamento, del ripensamento, come lo chiama Mohamed, che lo avrebbe portato a non farsi saltare in aria con il giubbotto esplosivo, lasciando così aperto quello spiraglio per le indagini che avrebbe poi portato all’identificazione e all’eliminazione del commando che si era rifugiato a Saint Denis. Ma la caccia continua, anche le operazioni scattate ieri sera a Bruxelles girano tutte intorno a una rete di sei fiancheggiatori del terrorista in fuga.
Salah Abdeslam è ormai diventato il simbolo di un cerchio che tutti vogliono chiudere, l’uomo che in sé racchiude tutti i misteri di questa tragedia, anche se la sua rinuncia al martirio lo avrebbe declassato a semplice complice, un dilettante della Jihad reclutato dal suo amico Abdelhamid Abaaoud. A Molenbeek anche ieri c’era gente disposta a giurare di averlo visto la mattina del giorno precedente la strage. I media spagnoli invece gli hanno già fatto attraversare i Pirenei, mentre giovedì sarebbe stato invece avvistato in quel di Anderlecht, a sud di Bruxelles, scatenando per altro una discreta ondata di panico.
A oggi l’unica certezza è che l’auto sulla quale è fuggito in compagnia di tre amici venuti a prelevarlo dal Belgio dopo la strage, è stata controllata per ben tre volte, con lui a bordo. La più importante, non lontano dal confine belga. Ma in quel momento era ancora un semplice «voyou», un piccolo delinquente segnalato nella categoria 36.2 che indica i reati comuni e non in quella 36.3 che invece segnala gli indiziati di terrorismo. È quello il peccato originale, che ha segnato la nascita di un fantasma.