Corriere della Sera, 23 novembre 2015
Bruxelles in stato di guerra. Scuole e metro chiuse, evacuate le stazioni ferroviarie, blitz in tutta la città, sedici arresti, ma Salah è ancora in fuga. Cronaca di una notte di terrore
Bruxelles blindata in stato di guerra. Chiuse le strade vicino alla Grand Place. Rue du Lombard è stata bloccata dalla polizia con un autobus. I militari hanno ordinato ai clienti dell’hotel Radisson blu di non uscire dalle stanze. Evacuate la sede della tv fiamminga e la stazione ferroviaria Malines. Poi il blitz che ha portato all’arresto di sedici persone, tra le quali – come ha detto il procuratore – non c’è il super ricercato Salah. L’uomo, secondo indiscrezioni, sarebbe stato intercettato vicino a Liegi ma poi sarebbe riuscito a fuggire in auto verso la Germania. Il premier belga Michel: la minaccia resta seria e imminente, anche oggi chiuse scuole e metropolitana.
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DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES La resistenza comincia dietro un registratore di cassa. «Sabato gli agenti sono venuti per tre volte a dirmi che dovevo chiudere. Ma davvero? Bene, allora ho deciso che sarei rimasto aperto anche oggi». Anthony è pieno dell’orgoglio dei suoi 22 anni. Al momento del nostro ingresso stava leggendo un libro di economia all’interno del suo Metro Express, un piccolo supermercato nella zona pedonale di boulevard Adolphe Max. È l’unico negozio con le luci accese, ma in quasi mezz’ora di conversazione non entrerà nessuno. L’incasso di giornata non supera i cinquanta euro, una miseria. «Barricarsi in casa non è comunque un buon modo di reagire» aggiunge con un sorriso gentile prima di tornare ai suoi studi.
I buoni propositi non mancano in questa strada alle spalle del centro di Bruxelles, scelta a campione come una specie di cerniera tra la città turistica e quella vera che appartiene ai suoi abitanti. Martin, un robusto pensionato di 72 anni, racconta di aver camminato per ore avanti e indietro sotto la pioggia. «Se dobbiamo aspettare perché farlo in casa a guardare le televisione? Nessuno ha idea di quel che può accadere, ma nessuno deve avere paura». Sembrava una normale giornata di coprifuoco, neppure tanto diversa dalle altre domeniche, quando la capitale belga si svuota e in giro restano soltanto i pochi turisti. Verso sera c’erano pure macchine incolonnate sui boulevard che rientravano a casa, tutto sommato la città era spettrale, ma con giudizio, senza drammi. «La cosa peggiore è che sta per ricominciare la settimana» ridevano Marie e Norah in libera uscita dagli uffici dove fanno le pulizie. «È quello che ci fa davvero paura».
E invece cambia tutto in pochi minuti. All’ora di cena l’ottimismo ostentato dai residenti e dai commercianti di boulevard Adolphe Max svanisce davanti ai turisti in fuga dalla Grand Place che si riversano nelle vie interne. La piazza simbolo di Bruxelles viene evacuata in pochi minuti, con modi bruschi, dai militari in assetto da guerra che entrano nei ristoranti e intimano alle persone sedute ai tavoli di lasciare i loro pasti e di chiudersi nelle cucine. Gli hotel vengono sbarrati, la gente accompagnata di peso fuori da un perimetro che lascia fuori la rue du Midi. I soldati girano con il megafono intimando alla popolazione di non affacciarsi alle finestre, quattro elicotteri sorvolano la zona. All’improvviso si crea uno scenario da guerra urbana nel cuore della città. L’evacuazione viene completata, arrivano le camionette delle teste di cuoio, uomini incappucciati che risalgono le vie strette dietro la Grand Place incrociando gli sfollati che vanno in direzione opposta alla loro.
Le forze speciali erano state allertate appena un’ora prima, quasi in simultanea con la conferenza stampa del ministro dell’Interno e della Difesa che confermavano la decisione di estendere lo stato d’allerta, scuole e stazioni della metropolitana ancora chiuse «fino a data da destinarsi», concerti e manifestazioni annullate, il rischio «alto e imminente» di un attacco terrorista non è svanito con questa prova generale di vita all’israeliana nel placido Belgio. Un giornalista locale chiede agli esponenti del governo se sia saggio prendere misure del genere senza comunicare la vera entità della minaccia. La risposta non è di quelle che rasserenano, sembra quasi che la tranquillità degli abitanti di Bruxelles non sia la priorità del momento. «Stiamo ricercando diversi sospetti, almeno una decina, due dei quali armati di cinture esplosive» è la replica secca del ministro dell’Interno Jan Jambon. «Temiamo che si verifichino attacchi multipli come avvenuto a Parigi».
Un autobus viene requisito e usato per sbarrare rue du Lombard, come se non ci fosse stato il tempo di preparare l’operazione. Alle nove di sera almeno due isolati sono completamente tagliati fuori dal resto della città, non si entra e non si esce dalla parte di rue Midi adiacente alla Grand Place fino a Place Saint Jean. I soldati e i loro mitragliatori sono disposti lungo le colonne gotiche che circondano la piazza. Gli abitanti che chiedono lumi vengono messi insieme agli altri, in fila sul marciapiede sotto la sorveglianza dei militari, costretti a tornare indietro sui loro passi in fila per due.
In quello stesso momento la scena si ripete in alcuni sobborghi di Bruxelles. La zona centrale di Molenbeek, il quartiere del grande latitante Salah Abdeslam, viene recintata dai servizi di sicurezza. Dovrebbe essere il grande colpo che libera tutti dall’ansia, ma alla fine il bilancio della nottata appare magro, comunque privo dell’unica notizia che metterebbe la parola fine alle paure del Belgio e di tutta Europa. Invece Abdeslam scappa ancora. Sarebbe stato intercettato verso le 19.30 a bordo di una Bmw su una strada statale nei pressi di Liegi, ma sarebbe anche riuscito a fuggire un’altra volta, prendendo la E40 in direzione della Germania. Anche per questo, forse, il bilancio notturno della Procura federale di Bruxelles è laconico, un breve comunicato di poche righe per dire che sono state perquisite 19 abitazioni, arrestate 16 persone. Durante un controllo in uno snack bar di Molenbeek una vettura si sarebbe lanciata a grande velocità verso i poliziotti, che avrebbero aperto il fuoco ferendo l’uomo al volante, poi arrestato nel centro della capitale.
Nessun’altra comunicazione, nessuna spiegazione. La Polizia federale ringrazia i media per il loro silenzio durante l’operazione. L’atmosfera torna a essere silenziosa e surreale. Solo il suono degli elicotteri. In boulevard Auguste Max è come se questa onda di ansia arrivasse a spezzare l’illusione di una emergenza breve, un fine settimana di pacifica sopportazione e poi avanti come sempre. «Noi non siamo Parigi, non siamo stati colpiti, quindi è davvero difficile capire la ragione di tutto questo» dice Anthony, mentre si rassegna a tirare giù le serrande del suo locale.