21 novembre 2015
Attacco jihadista in un hotel a Bamako, in Mali: 27 morti • L’uomo che s’è salvato fingendosi morto per otto ore nell’ascensore dell’hotel • Scatta a Roma il piano per il Giubileo: quattromila uomini in più per controllare 1.440 potenziali obiettivi • Arrestato il boss di Corleone che stava organizzando un attentato contro Alfano • Rubati in museo di Verona un Mantegna, un Rubens e sei Tintoretto
Bamako 1 Ieri mattina, ore 7.15 di Bamako, un commando composto da almeno tre terroristi è entrato nella hall dell’hotel Radisson, il più grande albergo della capitale maliana, quello dove soggiornano i rappresentanti delle delegazioni di Nazioni Unite e Francia, oltre a turisti e uomini d’affari stranieri, e ha cominciato a sparare all’impazzata. In quel momento il Radisson ospitava 140 clienti e 30 dipendenti, era pieno al 90% della sua capacità d’accoglienza, con stanze riempite da persone di 14 diverse nazionalità, ad ampia maggioranza francese. I membri del commando hanno radunato una cinquantina di ostaggi e si sono asserragliati al settimo e ultimo piano dell’hotel. Chi conosceva i versi del Corano poteva uscire, gli altri no. Un primo assalto dell’esercito maliano non ha avuto alcun risultato se non quello di un furibondo conflitto a fuoco. In tarda mattinata il secondo tentativo, con quaranta teste di cuoio francesi a dare manforte ai locali, insieme a soldati americani dell’Onu. È cominciato un assedio durato più di 7 ore, durante il quale gli ostaggi superstiti sono stati rilasciati, a gruppi di cinque per volta. Sono morti 27 ostaggi. Tra le vittime un alto funzionario del Parlamento belga, un americano, mentre non sembrano esserci cittadini francesi. Almeno tre terroristi sono stati uccisi «o si sono fatti esplodere», come ha riferito una fonte militare alla France Press. Il gruppo jihadista Al Murabitun ha dapprima rivendicato su Twitter e in seguito con un comunicato letto al telefono all’emittente tv Al Jazeera (Imarisio, Cds).
Bamako 2 Leon Aharrh Gnama, 54 anni, sposato, tre figli, si è nascosto sotto i corpi di sei persone che ha visto massacrare nell’ascensore dell’albergo ed è rimasto fermo fingendosi morto per quasi otto ore. Con i terroristi che si muovevano continuamente e continuavano a sparare anche sui cadaveri. «Non so come sia riuscito a salvarmi, un miracolo, un aiuto divino». Era arrivato in hotel poco prima delle sette del mattino: «I terroristi, al grido di “Allah Akbar” ma parlando anche inglese, sono entrati e hanno iniziato a spararci addosso. Un donna ci ha urlato di salire verso i piani alti. Sono corso insieme ad altre sei, sette persone verso l’ascensore per trovare scampo ai piani superiori ma era bloccato, una trappola terribile. E allora ho pensato che fosse finita e mi sono messo a pregare». I terroristi sono arrivati dieci secondi dopo. Hanno gridato «Allah è grande» e hanno iniziato a sparare. «Mi sono inginocchiato a terra coprendomi il viso, poi sono strisciato come un serpente verso un angolo — racconta Leon —. A uno a uno gli altri mi cadevano addosso, mi bagnavano con il loro sangue, li sentivo respirare a fatica, agonizzare, pronunciare qualche parola, urlare. Morivano e mi salvavano la vita. I terroristi si muovevano, feroci, inquieti. Correvano chissà dove, poi tornavano davanti all’ascensore e sparavano sui cadaveri. Non so come non sia riuscito a non essere trafitto dai proiettili. Mi sono fatto male solo a una gamba, ma per il peso dei cadaveri sopra di me». Leon è rimasto lì sino alle 15 facendo finta d’essere morto: «Sono stato bravo, quegli assassini non si sono accorti di me. Poi sono arrivati i soldati. Quando sono uscito dall’ascensore ho visto almeno una decina di cadaveri, quasi tutti occidentali sul pavimento davanti alla reception. Poi credo d’essere svenuto» (Gasperetti e Muglia, Cds). [Sull’argomento leggi anche il Fatto del giorno]
Roma L’elenco, soltanto a Roma, ha raggiunto quota 1.440. Tanti sono i potenziali obiettivi sensibili censiti dalla questura a due giorni dall’entrata in vigore dell’ordinanza speciale rivolta ai 2.000 agenti delle forze dell’ordine che verranno impiegati nella capitale in vista del Giubileo. A partire da lunedì, in collaborazione con 2.000 militari delle forze armate, avranno il compito di sorvegliare ambasciate, ministeri, sedi di partiti e di compagnie aeree, chiese, la sinagoga, il ghetto ebraico, monumenti, ma anche i mezzi pubblici (dove saliranno agenti di pattuglia) e, dopo le stragi del Venerdì 13 a Parigi, lo stadio e i locali e le piazze maggiormente frequentate di notte dai più giovani. «Senza escludere — ha detto il questore Nicolò D’Angelo — la possibilità di perquisizioni nelle zone della movida». Un’attenzione speciale sarà rivolta all’Anfiteatro Flavio, il monumento più visitato d’Italia, dove nei prossimi giorni verranno installati metal detector (Favale, Rep)
Boss I carabinieri hanno arrestato il nuovo presunto padrino di Corleone e dintorni, Rosario Lo Bue, un pastore un po’ eremita che con altri cinque complici, anche loro ieri in manette, pensava perfino alla «vendetta eccellente», ad un attentato contro il ministro dell’Interno Angelino Alfano, ritenuto dai boss troppo severo nella stretta del «carcere duro», il regime del 41 bis: «È un cane per tutti i carcerati... Deve fare la fine di Kennedy». Come svelano due degli arrestati, Salvatore e Roberto Pellitteri, parlando con Piero Masaracchia nel vicino paese di Chiusa Sclafani: «Se c’è l’accordo gli cafuddiamo (diamo, ndr ) una botta in testa. Sono saliti grazie a noi. Angelino Alfano è un.... Chi l’ha portato qua con i voti degli amici? È andato a finire là con Berlusconi e ora si sono dimenticati tutti». Il procuratore della Repubblica di Palermo Franco Lo Voi minimizza i riferimenti alla trame internazionale: «Improbabile immaginare che tre mafiosi del corleonese conoscano particolari sull’omicidio Kennedy...». Ma nelle bobine registrate dai carabinieri restano le sferzate contro Alfano («Dalle galere dicono cose tinte (brutte) su di lui») e lo scenario: «Perché a Kennedy chi se l’è masticato (chi l’ha ucciso)? Noi altri in America. E ha fatto le stesse cose: che prima è salito e poi se li è scordati». Un modo per dire che Kennedy sarebbe stato eliminato perché, eletto coi voti dei boss, non avrebbe poi mantenuto i «patti». La replica di Alfano è stata immediata: «Vi sono tante donne e tanti uomini servitori dello Stato che rischiano ogni giorno come e più di me. Ho deciso io, come tutti loro, di non curarmi di queste minacce e andare avanti. So bene che Riina e i suoi seguaci me l’hanno giurata per due motivi: per il carcere duro e le leggi che avevo fatto approvare e per le confische dei loro soldi» (Cavallaio, Cds).
Rapina La sera di giovedì tre uomini armati, con il viso coperto da passamontagna e con abiti scuri, dopo aver imbavagliato e legato la cassiera e la guardia giurata del museo civico di Castelvecchio a Verona, hanno portato via diciassette quadri di grande valore artistico ed economico, 15 milioni circa. Tra questi sei dipinti del Tintoretto e capolavori di Rubens, Pisanello, Mantegna, Jacopo Bellini, Giovanni Francesco Caroto e Giovanni Benini. Il colpo dell’anno, durato un’ora e dieci minuti, è stato compiuto in uno dei siti ritenuti strategici e sensibili dal Comune di Verona. Vigilato ventiquattro ore su ventiquattro, presidiato come una fortezza da 48 telecamere collegate a una sala operativa interna, da una guardia giurata armata, da un circuito di telecamere esterne e da un protocollo rigidissimo sulla sicurezza specie quando avviene il cambio del personale. Eppure i rapinatori sono penetrati con estrema facilità, probabilmente da una scala secondaria dal secondo piano. Il che fa supporre che conoscessero bene i meandri del museo. Molti i punti oscuri da chiarire per chi indaga (Squadra Mobile di Verona, coadiuvata dal Nucleo Tutela patrimonio artistico dei carabinieri). A cominciare dal mistero del sistema di allarme, che al momento della rapina non era attivato (Gramigna, Cds).
(a cura di Roberta Mercuri)