La Stampa, 21 novembre 2015
Borsalino e i cappelli nel cinema
Mai senza cappello. C’è stato un tempo in cui eleganza, fascino e, soprattutto, status sociale, non potevano fare a meno di esprimersi attraverso il più iconico degli accessori maschili: «Il cappello definiva la posizione di un uomo in società, era, più o meno, la sua carta d’identità». Un simbolo captato dal cinema e subito trasformato in segnale di riconoscimento. A capirlo, per primo, e a trasmettere ai suoi eredi la preziosa intuizione, è stato Giuseppe Borsalino, creatore di quell’impero industriale che ha trasformato Alessandria nella patria di un marchio diventato nome proprio: «Si racconta che il fondatore trascorresse molto tempo fra le colline, con la testa fra le nuvole, e che, proprio da questa abitudine, sia nato l’interesse per l’oggetto».
Robert Redford
Da quelle passeggiate in libertà al salotto di Robert Redford, il passo è breve, ma solo se si segue il filo del racconto di Borsalino city, il film di Enrica Viola (in cartellone al Tff) che ricostruisce l’epopea glamour di un copricapo intramontabile: «Mentre facevamo i sopralluoghi per il film, abbiamo scoperto una lettera degli Anni 70 in cui Redford si rivolgeva a uno degli eredi dell’azienda, Vittorio Vaccarino, chiedendogli un cappello di cui si era innamorato, il Borsalino nero indossato da Marcello Mastroianni in 8 e mezzo». La passione, racconta Redford, risaliva ai tempi in cui, 23enne, interpretava a teatro A piedi nudi nel parco. «Dear Vittorio, you may remember me... my name is Robert Redford», era l’incipit della lettera.
Da quella suggestione felliniana prende il via il viaggio di Borsalino city, da una parte le immagini della fabbrica in attività, le mani veloci e attente delle lavoratrici addette alle ultime rifiniture, i viaggi in Australia in cerca dello speciale pelo di coniglio adatto a rivestire lucidi cilindri, dall’altra la cronaca del modo in cui il cinema imparò ad usare i cappelli per definire ruoli e personaggi. Provate a immaginare, osserva lo scrittore Jean-Claude Carriére, cosa sarebbe la scena madre di Casablanca se i due protagonisti non avessero in testa i loro Borsalino. Provate a immaginare cosa avrebbe fatto Chaplin senza il cappello di Charlot. Provate a immaginare Buster Keaton senza il suo rutilare di falde tese, abbassate, ammaccate. Lo scenografo premio Oscar Piero Tosi dice che gli attori migliori sono quelli in grado «di essere complici dei loro cappelli». Humphrey Bogart «lo usava come un elmetto» per proteggersi, Jean Gabin lo sfoggiava in versione candida, Jean-Paul Belmondo ci giocava per evocare, in Fino all’ultimo respiro, il cinema dei gangster americani tra i ’ 30 e i ’40.
Alain Delon
A lui e al compagno di strada Alain Delon si deve la definitiva consacrazione cinematografica del marchio. Ispirato alla storia vera dei due malavitosi marsigliesi Paul Carbone e François Spirito, Borsalino, diretto nel ‘70 da Jacques Deray e sceneggiato da Carriére, protagonisti i due divi, molto fascinosi e poco sanguinari, ebbe enorme successo. Sulle prime gli imprenditori di Alessandria non videro di buon occhio l’idea di legare alla loro creatura le gesta di efferati criminali, poi fu raggiunto un accordo in cui si precisava che il titolo doveva essere scritto come il logo dell’azienda.
Se la mitologia del cinema non ha più potuto fare a meno dell’accessorio maschile, la realtà economico-industriale e gli equilibri della dinastia Borsalino hanno invece visto molti sviluppi. Nel documentario si vedono i festeggiamenti per il centenario, si ricorda che con il soprannome «borsaline» si definivano le donne più eleganti della città, si rievoca l’epoca in cui la sirena della fabbrica «scandiva la vita di Alessandria», ma si racconta anche la «cessione del marchio, avvenuta nel ’79, in favore di nuovi proprietari». I mutamenti del costume hanno imposto battute d’arresto e momenti di crisi. Negli Anni 60 il rifiuto del cappello fu gesto contestatario, e poi, con i capelli sempre più lunghi, un «fedora» c’entrava poco. Per non parlare di certe abitudini: «Si è perso il gusto di levarsi il cappello davanti a una signora». Un vero rituale di seduzione. Anche solo per questo, varrebbe la pena che gli uomini imparassero di nuovo a non andare in giro a testa scoperta.