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 2015  novembre 21 Sabato calendario

Vorremmo che oggi gli islamici, mentre prendono le distanze dall’Isis, dicessero pure che la Costituzione viene anche per loro prima del Corano

Due dipendenti torinesi della catena di grandi magazzini Zara hanno denunciato problemi di convivenza con i facchini pachistani, uno dei quali si sarebbe rifiutato di stringere la mano alla responsabile di reparto perché la sua religione gli consente di toccare un’unica donna, la moglie.
Spesso i piccoli episodi aprono squarci su temi enormi. Questo ne evidenzia almeno due. Intanto che la psicosi seguita agli avvenimenti di Parigi ha acuito certe sensibilità islamofobiche, dando vita anche a siparietti surreali. Una maestra di Alba che aveva lasciato la parola «halla» sulla lavagna se l’è vista brutta con la madre di un allievo, che l’ha accusata di inneggiare ad Allah. La preposizione sospetta è stata attribuita all’incursione notturna di un fantomatico estremista marocchino, che poi si è scoperto essere un piemontesissimo elettricista, incaricato dal preside di riparare l’impianto della scuola. A Taranto una donna ha chiamato le forze dell’ordine perché da un’auto usciva della musica araba ad alto volume, mentre a Fidenza qualcuno ha segnalato ai carabinieri un signore che aveva esposto al balcone la bandiera nera degli All Blacks per commemorare un campione di rugby: credevano fosse quella dell’Isis.
In compenso a Cuneo la realtà si è ispirata a Woody Allen e due banditi incappucciati hanno svaligiato una banca rassicurando gli astanti: «Tranquilli, non siamo dell’Isis, è solo una rapina».
Ma sarebbe sciocco ignorare che la denuncia dei dipendenti di Zara esprime un disagio vero e che questo disagio chiama in causa tutti gli islamici trasferitisi in Occidente per vari motivi, tra cui la necessità di scappare dalle bombe finanziate o sganciate direttamente da alcuni governi occidentali. Che oggi quegli islamici scendano in piazza per dissociarsi dagli scherani del Califfo al grido di «Not in my name» è qualcosa che ci fa piacere, ma che non ci basta. Già il fatto che da parte nostra se ne parli con soddisfazione, quasi con sollievo, rivela l’esistenza di un pregiudizio: che, sotto sotto, tutti gli islamici la pensino come l’Isis. Una sciocchezza. A preoccuparci dovrebbero essere piuttosto i sermoni di quegli imam europei, cliccatissimi su YouTube, che prendono le distanze dagli attentati negli stadi e nelle sale-concerto, ma poi scrivono che «chi ama la musica vorrebbe essere trasformato in una scimmia o in un maiale» e «chi guarda una partita di calcio dovrebbe vergognarsi davanti ad Allah».
Il mondo a cui noi occidentali apparteniamo fin dalla nascita è il risultato di un percorso lungo e faticoso. Ci sono voluti secoli di scontri non solo dialettici per approdare a una società capace di separare la sfera statale da quella religiosa e di mettere la Costituzione davanti alla Bibbia. Non vogliamo tornare indietro. Chi viene a vivere qui è bene accetto, ma a sua volta deve accettare le regole di convivenza che ci siamo conquistati e che riguardano il diritto di divertirci come ci pare e di rispettare le donne e gli omosessuali. Nessuno pretende che i nuovi arrivati brucino le tappe (del resto anche tra i parlamentari indigeni c’è chi non ha ancora assimilato certi principi). Però sarebbe un primo passo in avanti straordinario se oggi in piazza, oltre a prendere le distanze dall’Isis, i musulmani prendessero esempio dall’elettrotecnico francese di religione islamica Bassem Breiki, che in un video ha detto chiaro e tondo come la Costituzione della Repubblica debba sempre venire prima del Corano, ottenendo quattro milioni di visualizzazioni in poche ore.