Corriere della Sera, 21 novembre 2015
Ricordo di Helmut Schmidt
Caro Romano, a proposito del suo giudizio su Helmut Schmidt, per quanto mi riguarda, è stato uno degli uomini più interessanti che abbia mai incontrato: intelligentissimo, caustico, spesso sgradevole. All’inizio non era affatto europeista e fu fra i socialisti che non votarono per il trattato di Roma. Era un anseatico anglofilo, con lo sguardo rivolto verso l’Atlantico e con scarse simpatie per la Francia. Si convertì per realismo e aiutato dalla sua intelligenza. Lo deluse l’incapacità della Gran Bretagna di stare in Europa e la debolezza, politica ed economica, degli Usa nell’epoca Carter. Capì che la scelta europea e francofila di Adenauer non era stata un impulso renano, ma una scelta strategica. Con Giscard, che gli era inferiore intellettualmente, ebbe epici scontri ma pose le basi per progressi importanti. Non amava e non capiva l’Italia. Quando cadde, vittima delle periodiche pulsioni massimaliste dei socialisti europei, molti pensarono che il suo successore Helmut Kohl fosse un nano in confronto. Sappiamo come andò a finire e nessuno può sapere se alla caduta del Muro Schmidt avrebbe dimostrato la stessa lungimiranza e lo stesso coraggio. Pensando a lui, ad Adenauer, a Kohl e ora alla Merkel, mi domando cosa ci sia nella politica tedesca che permette una simile produzione di giganti. Riccardo Perissich Roma
Questa è l’occasione per ricordare che tutta l’Europa ha un debito con tre cancellieri social democratici, europeisti e riformisti: Willy Brandt, Helmut Schmidt e Gerhard Schröder. Se a questa terna aggiungiamo i due maggiori cancellieri democristiani degli ultimi decenni (Konrad Adenauer e Helmut Kohl), forse occorre smetterla di evocare, ogniqualvolta si parla di Germania, il fantasma di Hitler.