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 2015  novembre 21 Sabato calendario

«Sì, cari miei, sì, qui c’è una donna che vola, mi dispiace per voi che non la vedete». Ovvero: l’arte di Chagall

Il 28 marzo del 1985, Marc Chagall aveva 97 anni ed era felice: l’Unione Sovietica aveva inaspettatamente prestato alcuni suoi dipinti giovanili per una mostra alla Fondazione Maeght, a due passi dalla sua casa di Saint-Paul-de-Vence, Francia. Li aveva rivisti dopo tanto tempo, si era commosso. In quel giorno di primavera uscì nel cortile. Sedette su una panca. Appoggiò la testa al gomito. E morì.
E morì come andava raccontando da decenni, con il suo mondo natìo che gli ronzava negli occhi: violinisti epilettici, cani volanti, donne robuste, croci danzanti, filastrocche incomprensibili. Il calore odoroso russo della sua Vitebsk, che oggi è Bielorussia, era stato il midollo della poesia di Chagall, poesia declinata in uno dei modi più originali: tempera e china, parole e matita.
Con scrittura finissima. «La città pare spaccarsi, come le corde di un violino, e tutti gli abitanti si mettono a camminare al di sopra della terra», scrive in Ma vie, straordinaria autobiografia che accompagna le opere della mostra bresciana.
«Vitebsk, ti abbandono. Restate soli con le vostre aringhe», annota negli anni Venti, ricordando l’abbandono vero, dieci anni prima. Perché «Sto molto bene con voi tutti. Ma… avete sentito parlare delle tradizioni, di Aix, del pittore che si tagliò l’orecchio, di cubi, di quadrati, di Parigi?...». Annotava, cancellava, abbozzava – in mostra anche due preziosi taccuini di schizzi e poesie, ritrovati nel 2012. Scriveva anche quando dipingeva, nell’impellenza di qualcosa che non si saziava mai. Il padre sapeva di aringhe, la nonna aveva una «faccia di petali di rosa», tutto in quel poverissimo villaggio «veniva venduto. Le monete tintinnano. I mugik, i mercanti, la gente di Dio, tutti borbottano, tutti puzzano».
Guardate, al Santa Giulia, la Veduta dalla finestra a Vitebsk, 1908: un vaso di fiori esposto all’altrove, al panorama che splende lontano fuori dalla finestra. Perché non era facile la vita in quegli anni russi, così «in quel periodo mi inebriavo di disegno. Non sapevo che cosa significasse. Al di sopra delle teste volavano i fogli disegnati, raggiungendo spesso la testa del professore». Parigi, i cubi, il pittore che si era tagliato l’orecchio. Come raggiungere tutto questo? Dove trovare il coraggio? Forse arrivò insieme a una ragazza «col collo giallo» (giurava visionario) che aveva visto a san Pietroburgo e poi rivisto a Vitebsk, una che lo guardava indulgente e che – in silenzio – gli prometteva non un banale amore, ma la forza per allontanarsi da aringhe e mercanti.
Bella Rosenfeld non aveva il collo giallo ma piegò quello di Marc fino a farglielo torcere in una posizione innaturale (come l’amore!) nel bacio dolcissimo del Compleanno (1915). Bella s’involò sopra di lui come un palloncino ridente (quante volte abbiamo immaginato l’amato simile a un palloncino leggero, sempre sul punto di svanire?) ne La Passeggiata, il quadro più intenso in mostra. Bella tradusse in francese la sua Vita (l’autobiografia composta tra il 1920 e il 1921) e lui illustrò le sue favole, la accompagnò a comprare fiori cappelli, la amò fino a quando lei morì, nel 1944. Per lei scrisse le pagine più belle del diario: «Quando ti guardo a lungo mi sembra che tu sia opera mia. Più d’una volta hai salvato le mie tele da una triste sorte... Tutto ciò che dici è giusto. Dirigi la mia mano. Prendi il pennello e, come un direttore d’orchestra, trascinami verso lontananze ignote».
Con Bella si lasciò alle spalle le polemiche sulla sua arte, lontana dai dettami dell’avanguardia suprematista o cubista. «Sì, cari miei», pareva dire, «sì, qui c’è una donna che vola, mi dispiace per voi che non la vedete». Scrive: «Io aprivo la finestra della stanza e l’aria azzurra, l’amore e i fiori entravano con lei. Tutta vestita di bianco o tutta in nero lei vola da molto tempo attraverso le mie tele, guidando la mia arte. Non finisco quadro o incisione senza chiedere il suo “sì” o “no”».
Bella morì e lui non dipinse più per un anno. Verranno Virginia prima e Valentina dopo. Verrà il tempo del ritorno in Russia (ma mai nella sua Vitebsk), verrà il tempo del ricordo. Poi la morte. Sui registri delle visite funebri, sfilarono i nomi di: Jacqueline Picasso (la vedova), Roland Dumas (ministro degli Esteri), Pierre Matisse, figlio dell’artista, lo scultore César. Eccetera, eccetera.