Corriere della Sera, 21 novembre 2015
È meglio dormire due volte tre ore o otto ore filate?
Applicazioni per monitorare il sonno. Tabelle che mostrano come frazionare il riposo nel corso della giornata. E, invenzione di un ex gufo (più attivo alla sera, mentre il tipo allodola carbura meglio al mattino), una maschera sincronizzata con lo smartphone (costo 300 dollari). Il dispositivo, dotato di sensori che registrano le onde cerebrali, i movimenti oculari, i livelli di ossigeno e la temperatura corporea, promette di aiutare chi fatica ad addormentarsi – sia per il jet-lag, la videoconferenza all’alba o una vita sempre più disordinata – a resettare l’orologio biologico. Sarà che nelle 24 ore non si riesce più a incastrare tutto, sarà che la tentazione di manipolare la Natura è sempre dietro l’angolo, l’economia di tempo costringe alla spending review anche sotto le coperte. Risultato, siamo divisi tra il bisogno di ascoltare il corpo e l’aspirazione a migliorare le prestazioni individuali. Con buona pace dei ritmi circadiani. Tant’è: il sonno non accenna ad arretrare tra i trending topics, i temi di maggiore interesse sul web. Ed ecco che la piazza virtuale si divide tra apocalittici e integrati: chi rassegnato all’insonnia cronica (ne soffrono circa 4 milioni di italiani, il 10 per cento della popolazione), chi alla ricerca di stili alternativi, fluidi e ubiqui come il nostro modo di vivere e relazionarci.
Il relativismo sotto le coperte
Poliamoroso, polifunzionale, polifasico... Semplice assonanza? Non solo. I neologismi esprimono un concetto comune: la versatilità come spirito di adattamento e liberazione dagli schemi. Motivo per cui il sonno monofasico non è più un dogma, se non fosse che il cambio di passo non è poi così epocale: l’abitudine di dormire otto ore di fila, in realtà, è piuttosto recente (guarda caso, post Rivoluzione industriale). Nel suo libro «At Day’s close: Night in Times Past», Roger Ekirch, docente di Storia a Virginia Tech, ha raccolto un’ampia documentazione, con oltre 500 fonti, che confermerebbe la tendenza a dormire in due tempi: a letto due ore dopo il tramonto, svegli tra mezzanotte e le due (per fumare, parlare, pregare, fare sesso...), di nuovo tra le braccia di Morfeo fino al mattino seguente. Negli anni Duemila, però, il risveglio notturno è percepito più come sintomo di stress che come interludio (ri)creativo. Guai a soffrire di «3 am blues», l’inquietudine delle 3. Occhi sbarrati, muscoli tesi, spossatezza: hai voglia a rigirarsi tra le lenzuola, meglio alzarsi e provare a distrarre la mente. Dovremmo forse tornare ai ritmi ottocenteschi? Se per molti svegliarsi nel cuore della notte è una maledizione, altri cercano invece di trasformare lo svantaggio (quantomeno nell’accezione comune) in opportunità. Prendiamo il caso di Ryan Farley e Steven Corcoran, cofondatori di Lawnstarer: gli imprenditori statunitensi hanno sperimentato il sonno bifasico (due cicli di tre ore ciascuno), per gestire il superlavoro e ricaricare le energie tra un impegno e l’altro. Nella storia, del resto, non si contano gli eterodossi vigili ed efficienti anche con ritmi di sonno fuori dagli standard o al di sotto della media: da Leonardo da Vinci a Napoleone, da Margareth Thatcher a Madonna. Per non parlare del metodico Immanuel Kant: sveglia alle 5, colazione e passeggiata rinvigorente. Il punto è proprio questo: darsi una regolarità, dopo aver fatto a pezzi le consuetudini. «I ritmi circadiani si possono allenare – osserva Lino Nobili, responsabile del Centro di Medicina del Sonno del Dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale Niguarda di Milano – purché non ci siano interferenze». Tipico l’esempio dei turnisti notturni che vorrebbero riposare di giorno, ma a casa inciampano in mille distrazioni.
La riscoperta della pennichella
«Si sta esagerando con l’idea che dormiamo meno rispetto al passato – sottolinea l’esperto –. Recenti studi su popolazioni africane e sudamericane mostrano che in assenza di luce artificiale le ore di sonno sono molto simili alle nostre. La vera differenza non è nella quantità, ma nella qualità». Compromessa da ritmi scombinati, eccesso di stimoli luminosi (Pc, tablet, smartphone), ansia di non riuscire a soddisfare tutte le richieste. Motivo per cui si riscoprono i benefici della siesta: «Un sonnellino di 20 minuti – spiega Nobili – può aiutare a compensare la perdita di riposo notturno». Tanto più nel primo pomeriggio, in sincronia con il ritmo circasemidiano, quando la temperatura corporea tende a diminuire. Google, non a caso, ha allestito delle salette per la nap, la pennichella, dei dipendenti. Meglio ancora un micro-sonno di 30-40 minuti: «Si carbura più lentamente – chiarisce Nobili –, ma l’effetto ristoratore è più duraturo». Se è vero che esistono cronotipi diversi influenzati da età e sesso, «il più diffuso però è quello intermedio tra gufi e allodole (il cosiddetto colibrì). Di notte la temperatura corporea si abbassa, mentre la luce è un forte stimolatore dei livelli di vigilanza».
I rischi dell’insonnia cronica
La sintesi è che, comunque si dorma, l’importante è farlo bene e per un tempo sufficiente al proprio fabbisogno. Le conseguenze della deprivazione cronica di sonno? «Non solo la perdita di attenzione e di memoria – avverte Nobili – ma anche un aumentato livello di stress di difesa. Gli effetti negativi colpiscono il sistema ormonale e l’apparato cardiovascolare, oltre a modificare il senso di appetito».