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 2015  novembre 21 Sabato calendario

L’operazione Serval, ovvero come e perché, con la guerra nel Mali, il pacifico Hollande si trasformò nel guerriero miglior alleato militare degli Stati Uniti

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI «Liberate Timbuktu!», pretendeva lo stato maggiore parigino dal colonnello Frédéric Gout, capo della squadriglia di elicotteri dell’operazione Serval, lanciata in tutta fretta da Hollande l’11 gennaio 2013. Solo che sul campo di battaglia al colonnello Gout mancavano le munizioni, i letti (due soldati per brandina, almeno all’inizio), il kerosene per fare volare gli elicotteri e persino i wc. Nel suo giornale di guerra (edito da Tallandier) l’ufficiale francese racconta l’avvio rocambolesco dell’azione militare in Mali, con i vecchi Antonov ucraini noleggiati da Parigi per ovviare alla mancanza di aerei cargo, e l’aiuto logistico degli Usa che avrebbe impiegato qualche giorno ad arrivare.
Questo non impedì alla Francia di ottenere un glorioso successo militare contro i ribelli jihadisti. L’operazione Serval è giudicata, negli ambienti della Difesa americani, un piccolo capolavoro, la prova che anche pochi mezzi – se usati con intelligenza e coraggio – possono portare ottimi risultati.
Nell’annunciare l’intervento nell’ex colonia africana il presidente François Hollande cominciò la sua trasformazione: da placido politico con il passo dell’eterno segretario di partito, a capo guerriero che non esita a guidare il suo Paese in pericolose operazioni in Africa e in Medio Oriente.
Dopo la profonda frattura della guerra in Iraq alla quale Chirac e Villepin si rifiutarono di partecipare, dal Mali in poi la Francia è diventata il miglior partner militare degli Stati Uniti, scavalcando la Gran Bretagna isolazionista di David Cameron. E Hollande è apparso spesso più determinato del presidente Barack Obama, per esempio il 31 agosto dello stesso anno, quando in Siria la Francia era pronta a bombardare le truppe di Assad che aveva appena usato le armi chimiche, e fu Obama a fare marcia indietro.
Quella in Mali è stata la prima guerra di Hollande – poi sarebbero seguite la missione in Repubblica Centroafricana, i raid in Iraq e poi in Siria – e la precipitazione, in quel gennaio 2013, era motivata: la capitale Bamako stava per cadere in mano agli uomini di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim), di Al-Murabitun e dei loro alleati tuareg di Ansar Dine, che imponevano la sharia (la legge islamica) nei capoluoghi delle tre regioni settentrionali, Kidal, Gao e Timbuktu.
Soprattutto, la Francia temeva che il Mali diventasse un santuario per il terrorismo in una posizione chiave per i traffici in Africa, uno Stato in mano a islamisti, libici ex uomini di Gheddafi e narcotrafficanti. Grazie alla prontezza francese Bamako è rimasta in mano al presidente Traoré e poi al successore Keïta, ed è diventata il punto di partenza della riconquista di tutto il Mali.
Come sempre quando una potenza occidentale interviene in una ex colonia, la Francia viene accusata di tutelare i suoi interessi economici e di volere proteggere le miniere di uranio nel vicino Niger. Una cosa non esclude l’altra ma, come disse subito il politologo Dominique Moïsi, «ci si sente sempre smaliziati a denunciare inconfessabili ragioni nascoste. La Francia non combatte in Mali per l’uranio, ma neanche per vaghe ragioni ideali: la necessità di stroncare sul nascere uno Stato terrorista che potrebbe minacciare l’Europa è una motivazione sufficiente e molto concreta».
Il 2 febbraio 2013 François Hollande fece una visita trionfale nella Timbuktu liberata e passò ore a stringere mani, a benedire neonati chiamati «François» e a riceverei doni vari tra i quali un cammello (leggenda vuole che non potendo salire sull’aereo l’animale restò a Timbuktu e finì per essere mangiato). Il presidente la sera disse «ho appena vissuto la giornata più importante della mia vita politica». Non sapeva che momenti ben più intensi lo attendevano.
L’operazione Serval si è conclusa nel luglio 2014, sostituita dall’operazione Barkhane che si è allargata agli altri Paesi della regione (Mali, Mauritania, Burkina Faso, Niger, Ciad). Il successo militare non si è trasformato nella sperata stabilità politica, gli accordi di pace siglati nel giugno scorso stentano a venire applicati e il Nord non è ancora pacificato. Nei giorni della guerra allo Stato Islamico, l’attentato all’hotel Radisson riporta l’attenzione alla casella di partenza. «Nel 2013 la Francia ha aiutato il Mali ottenendo una vittoria – ricordava solo due giorni fa Hollande —. Per questo i terroristi ci considerano nemici».