il venerdì, 20 novembre 2015
Marina Rinaldi, il primo mister transgender. Trentatre anni, di Rufoli ma dice di essere nata l’11 luglio del 2013 in una clinica di Bangkok, da ragazzino era un portiere e donna allena l’Ogliarese
La chiamano «mister» ed è una sublimazione di tutto. È il cerchio che si chiude preciso, in modo perfetto. Lei, Marina Rinaldi, non si scompone né offende: «Capisco la curiosità, ma è fine a se stessa. Gli inglesi danno del tu anche alla regina, you è impersonale, come mister. Se i miei ragazzi mi chiamano Marina, mi va bene lo stesso, l’importante è che si crei quel clima di familiarità e di amicizia, che è alla base del raggiungimento di qualsiasi risultato, nel calcio e nella vita».
Se cerchi Marina, dicono in paese, vai al campo e non puoi non riconoscerla da solo, è troppo sopra le righe. Senza dire però quali sono, le righe, e soprattutto chi le disegna. Poi, certo, è vero che Marina si riconosce subito. È l’allenatrice, quella che grida di accorciare la squadra, di scaricare indietro la palla, di aggredire gli spazi, di far l’uno-due, di scalare e di fare la diagonale. Bene, possibilmente.
Il racconto della seconda vita di Marina – ma come la prima, d’altronde – è un racconto di pallone e di silenzio. Nasce a Rufoli, sulle colline sopra Salerno, con un altro nome e un altro sesso, è maschio per il mondo e per l’anagrafe, anche se non si sente mai tale, ma non può e non sa dirlo. Resta così per anni, in silenzio.
Il padre è un calciatore dilettante, «un famoso centrocampista della Battipagliese» nientemeno, da piccolissimo lo porta con sé, ficcato dentro alla borsa degli allenamenti, insieme a scarpini, tuta e accappatoio. «Sono nata a pane e calcio» dice Marina che, da ragazzino, fa tutta la trafila della scuola calcio dell’Ogliarese. Da portiere. Estroverso, simpatico, allegro, nessuno dei suoi compagni di squadra, degli allenatori, dei dirigenti di allora si accorge che quel portierino ha dentro un segreto grande e che custidisce gelosamente. In silenzio.
Poi ci pensa la vita a dividere le strade. Lui prende la decisione più radicale, vuol diventare donna. La cura ormonale lo costringe ad abbandonare tutto e tutti, calcio compreso. Cambia nome, sesso e segno astrale. La seconda data di nascita, che oggi festeggia e che consulta nel nuovo oroscopo, è l’11 luglio 2013, giorno in cui viene alla luce Marina, in una clinica di Bangkok, con accanto sua madre, che «nel giorno in cui ho trovato equilibrio tra anima e corpo» le è stata vicino. In silenzio.
Quello che lei chiama «il mio percorso di adattamento fisico» è in realtà la traversata perigliosa di un oceano di dolore, di solitudine e, ovviamente, di silenzi. Per mille motivi comprensibili e altrettanti no, non da ultimo l’ubicazione della casa dove era cresciuta e aveva vissuto, 100 metri scarsi di distanza dal campo sportivo di Ogliara, dove aveva giocato per anni nella sua precedente esistenza: «Nelle interminabili domeniche trascorse reclusa in casa, dalla finestra entravano i fischi dell’arbitro, l’esultanza dei calciatori, le urla dei tifosi. Ogni voce mi feriva. Avrei voluto essere lì, ma non ero pronta, mi rifugiavo nel più cupo silenzio».
Il calcio, ormai, le sembrava una porta chiusa per sempre. A riaprirla è Tonino Cuoco, suo vecchio (e attuale) presidente dell’Ogliarese. Il paese è piccolo, qualcosa aveva sentito dire, quando il «fatto» è ormai di dominio pubblico, i primi contatti sono scene da film muto, solo gesti, sguardi e, nemmeno a dirlo, silenzi.
«È capitato di incontrarci per strada» racconta Tonino «ma lui, anzi lei, appena mi vedeva cambiava direzione o girava il viso, per un malcelato senso di vergogna. Nemmeno una parola o un cenno, solo sguardi bassi e una coltre di silenzio. Poi, a casa, mi chiedevo: ma quando e chi l’ha tirato su, questo muro tra due persone che si conoscono da una vita?».
Un giorno Marina accompagna la madre a fare la spesa, nel negozio di alimentari di Tonino, ma resta in macchina. Lui la vede, si fa forza, esce e lo rompe per sempre, il silenzio: «Era un ragazzo intelligente e sensibile, qualità che nessun bisturi può cambiare. Le ho detto, semplicemente, ciao». È la password giusta. «Non le ho nascosto il mio imbarazzo nel vederla donna, le ho chiesto di provare a comprendere le mie difficoltà, ma le ho anche detto: se sei felice, se è questo che veramente volevi, allora vai avanti per la tua strada, a testa altissima. È rimasta a lungo zitta, poi mi ha chiesto: ce l’hai ancora una squadra, Toni?».
Quest’anno, l’Ogliarese ha smesso di fare solo settore giovanile e si è iscritta al campionato di terza categoria. Ha ingaggiato, si fa per dire, ragazzi del posto, molti scesi di categoria per provare a far rinascere il calcio del paese. Alcuni sono ex compagni di squadra di Marina. Come Diego: «Solo da poco ho saputo della sua metamorfosi, ci eravamo persi di vista. Confesso che quando me la sono ritrovata davanti negli spogliatoi, sono rimasto frastornato, quasi in soggezione, in silenzio. Ma è stato un attimo, poi ci siamo sciolti e abbiamo iniziato a ricordare i tempi che furono. Mi ha detto che già da allora aveva in mente ciò che ha fatto molto tempo dopo».
Ora gestisce il gruppo, da donna, e forse è più difficile rispetto alla norma. «In alcuni casi cerco di accantonare il mio lato femminile, altre volte ricevo atteggiamenti più premurosi. Quel che mi interessa è che si comportino da uomini».
Nessun risolino, nessuna battuta? Nessun imbarazzo dei suoi ragazzi, degli avversari o da parte sua? «Da parte mia no. Mi sono presentata per quello che sono, non ho mai mentito, credo che l’ironia sia la chiave di tutto. Per il resto, come diceva Padre Pio, di cui sono devota, non pensare al domani, ma al bene che puoi fare oggi».
Il sogno è salire di categoria, magari accomodandosi su una panchina importante, studia, si sente pronta. Non c’è area tecnica nel piccolo campo in terra e sassi di Rufoli, ma anche se ci fosse, Marina non lo rispetterebbe, fa da pendolo incessante su e giù lungo la linea laterale, impreca, ordina, incita, protesta. Soltanto a volte, per pochi secondi, si appoggia alla panchina e resta in silenzio.
Non è stato Tonino Cuoco, il primo a dare fiducia alla prima allenatrice transgender italiana. Sono stati due sacerdoti, don Michele Alfano, parroco di Rufoli, e don Giuseppe Greco, parroco di Ogliara, che l’hanno accompagnata nel percorso umano e di fede.
Don Michele Alfano: «Gli interrogativi, anche plausibili, riguardo le sue scelte, non si sono trasformati in ostacoli insormontabili. È la linea di Papa Francesco che spinge la Chiesa a uscire, ad andare incontro a tutti, a camminare a fianco delle persone. Le abbiamo affidato la squadra giovanile del nostro oratorio, ho presentato io Marina alla comunità parrocchiale, ai ragazzi calciatori e ai loro genitori riuniti insieme».
Lo sport più forte del pregiudizio e della diffidenza. Troppo bello per essere vero. Ma è andata davvero così? Sorride, don Michele, con la bocca e soprattutto gli occhi: «Certo, c’è stato anche chi, tra i parrocchiani, non è stato d’accordo. I più scandalizzati e i più offesi si sono allontanati da soli, senza far polemiche e senza dire una parola. Ci sono dei silenzi, mi creda, che non si possono raccontare».