il venerdì, 20 novembre 2015
La rivoluzione del welfare. In Olanda c’è una città che sta sperimentando il reddito minimo
Utrecht. «Sarà una rivoluzione solo se riusciremo a dimostrare che i risultati sono scientificamente validi, ma credo che valga la pena provarci. Almeno non avremo rimorsi».
La rivoluzione del welfare, così la chiamano – più autonomia e responsabilità, meno obblighi – non arriva dalla solida, anche se di questi tempi un po’ ammaccata, Germania né dalla grandeur francese, ma avanza quasi inattesa dal ventesimo piano di un moderno edificio che affaccia sulla città vecchia di Utrecht e sulla caotica stazione dei treni, lo snodo ferroviario più esteso del Paese, attorno a cui ruota la vita quotidiana di questa elegante cittadina olandese di 330 mila abitanti. È in una di queste stanze che emanano ancora odore di vernice fresca che Victor Everhardt, l’assessore al lavoro della giunta municipale, sta spendendo gran parte della propria credibilità politica per portare avanti l’ambizioso progetto sperimentale denominato basic income, una sorta di reddito di base incondizionato che permetterà a un ristretto gruppo, già beneficiario di un sussidio sociale, di ricevere ogni mese per due anni tra i 900 e i 1.300 euro mensili (a seconda dello status familiare), senza alcun tipo di obbligo o condizione. Anche nel caso in cui i fortunati prescelti dovessero trovare nel corso dei due anni il «lavoro della vita» o comunque impieghi dignitosi e ben remunerati.
«L’esperimento all’inizio coinvolgerà poche persone, ma sufficienti per avere a disposizione dati scientifici sulla validità del nostro progetto. Se poi i test saranno positivi» assicura Everhardt «il reddito di base sarà esteso all’intera platea dei 9 mila assistiti che attualmente ricevono aiuti dal Governo». In effetti una piccola rivoluzione, per una cittadina nota fino a oggi soprattutto per la sua vivace città universitaria (circa 30 mila studenti), per essere la terza bike friendly city del mondo – oltre il 25 per cento degli abitanti si muove su due ruote – e per la splendida torre campanaria dalla cui sommità nelle giornate più soleggiate si intravede persino Amsterdam.
«Piccoli ma coraggiosi» scherza l’artefice del progetto, evidenziando come negli ultimi tempi in molte città olandesi siano finiti sotto accusa gli uffici di collocamento, portatori di «troppa burocrazia», «molta diffidenza» e spesso criticati per il fatto di esigere obblighi e risposte sempre uguali da parte di tipologie di persone che richiederebbero invece risposte diversificate. Da qui l’idea di provare a immaginare un nuovo welfare e di verificare direttamente sul campo, tramite uno studio scientifico che sarà realizzato dall’Università di Utrecht, se gli obblighi strettamente connessi all’erogazione di forme di assistenza sociale (accettare lavori modesti, spesso non adatti distanti anche 200 chilometri, pena decurtazione degli aiuti) siano così determinanti per incentivare le persone a trovare lavoro; o se invece responsabilizzare i cittadini garantendo loro uno stile di vita e di lavoro più flessibile e meno rigido non possa essere una strada altrettanto valida o addirittura migliore. Il tutto in un Paese, non va dimenticato, che ha la percentuale di lavoro part time (oltre il 45 per cento) più elevata dell’Unione Europea e una disoccupazione al 7 per cento, ben al di sotto della media Ue.
«Sia chiaro, io non sono né contro né a favore» chiarisce Everhardt «ma è un dato di fatto che il nostro sistema di welfare non funzioni più come una volta. Così abbiamo deciso di sperimentare cosa può accadere se a persone che già ricevono assistenza, seppur vincolata a una serie di comportamenti, forniamo lo stesso tipo di aiuto economico slegato da qualsiasi forma di obbligo. Che cosa faranno? Passeranno il loro tempo seduti sulla poltrona a guardare la tv oppure, senza tutte le limitazioni imposte, avranno tempo, modi e capacità per reinventarsi una vita?».
Il dibattito naturalmente è aperto e oggetto di scontro e vivaci discussioni, soprattutto sui social media. In città gli studenti ne discutono negli affollati caffè lungo i canali, dividendosi in egual misura tra sostenitori del free money, che già fantasticano sulle potenziali trasformazioni sociali delle loro vite future, e rigidi guardiani dell’ortodossia, che al contrario considerano il progetto del reddito di base una inutile «carità statale». Nel frattempo due gruppi di filmakers si sono fatti avanti, chiedendo alla municipalità permesso di seguire l’esperimento live così da poter raccontare le storie dei protagonisti in una serie di documentari. La data di partenza del progetto pilota al momento ancora non è stabilita, si aspetta il via libero definitivo da parte del Governo centrale che, in materia di welfare, ha da sempre l’ultima parola. Anche perché nel frattempo altre cittadine olandesi, come Tilburg, Groningen, Nijmegen e Wageningen, hanno seguito l’esempio di Utrecht e stanno pianificando esperimenti simili. Ma salvo imprevisti dell’ultima ora l’operazione basic income dovrebbe partire entro la fine dell’anno. «Ho iniziato a ricevere email anche molto personali» dice l’assessore, «dove le persone si autocandidano per l’esperimento». D’altronde chi non proverebbe ad assicurarsi una forma di assistenza dignitosamente pagata e libera da vincoli?
L’ultimo tassello che manca per far partire il progetto è infatti la scelta delle persone da coinvolgere (vanno pescate in quel bacino dei 9 mila utenti che attualmente ricevono assistenza) e più in generale la messa a punto tecnica dell’esperimento, a cui sta lavorando un team di tre persone della Utrecht University School of Economics. «Saranno selezionate 300 persone suddivise in più gruppi» spiega Loek Groot, responsabile del progetto. «Alcuni manterranno il sussidio tradizionale, altri riceveranno il sussidio ma con minori obblighi e l’ultimo gruppo avrà invece diritto ad un reddito di base senza limitazioni». Onestamente, aggiunge, «non so propria cosa aspettarmi, ma è un tentativo che va nella giusta direzione. I nostri dati ci dicono che dal 2008 ci sono più persone di quanti effettivamente sono i posti di lavoro disponibili, eppure il sistema di welfare continua a spingere sempre nella stessa direzione».
Comunque finirà, Utrecht sarà la prima città europea a sperimentare una forma di reddito di base incondizionato. Ma negli ultimi tempi qualcosa si sta muovendo nella vecchia Europa. Il primo ministro finlandese ha di recente annunciato un progetto di legge per favorire una forma di reddito universale, mentre la Svizzera ha previsto per il 2016 un referendum proprio sul reddito di base.
Al momento però l’unico tentativo su larga scala in un Paese industrializzato resta quello realizzato nella cittadina canadese di Dauphin, provincia di Manitoba, dove fu garantito un reddito di base a tutta la popolazione per oltre 4 anni, tra il ’74 e il ’79, prima che il programma venisse liquidato per un cambio di amministrazione. Quasi quarant’anni dopo Evelym Forget, direttore del Centro Ricerche dell’università di Manitoba, ha studiato quell’esperimento, riportando le sue conclusioni nel testo The Town with No Property. «Gli effetti di quell’operazione furono positivi» spiega Forget al Venerdì, «complessivamente lo stato di salute delle persone è migliorato, sono diminuiti i disturbi mentali, molte mamme hanno potuto passare più tempo con i loro figli piccoli e molti adolescenti hanno frequentato le scuole più a lungo, ottenendo di conseguenza lavori più qualificati e meglio retribuiti».