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 2015  novembre 20 Venerdì calendario

Quattro chiacchiere con Francesco Magnanelli, calciatore atipico che denuncia i poteri forti, le banche, Bilderberg

Poi a un certo punto la vita si mette a correre. Anzi s’impenna, e per provare a controllarla scopri che ti servono anche libri che facciano pensare. Per Francesco Magnanelli tra questi c’è «L’ultima stagione», scritto da Phil Jackson, santone del basket Nba, che fra tanti successi racconta invece di una sconfitta professionale ma anche di una rinascita possibile. Una storia perfetta per un ragazzo arrivato al Sassuolo in C2 a 20 anni per 7.000 euro e adesso, 10 anni più tardi, diventato capitano di una piccola grande corazzata che vuole l’Europa.
Ma è vero che le sbagliavano anche il nome?
«Se per questo anche il cognome. A volte mi chiamavano Massimo Manganelli, ma venivo dal Gubbio, ero l’ultimo arrivato e dopo le delusioni nella Primavera di Chievo e Fiorentina, non sapevo neppure se avrei fatto il professionista. Ero passato dalla A all’essere considerato niente, però non svaccai. Arrivare al Sassuolo è stata la mia fortuna e ora sono qui. Nessuno mi ha dato la Serie A: me la sono presa. E per restare in questa città (di cui è divenuto cittadino onorario, ndr) ho rinunciato a contratti migliori».
Lei fu acquistato assieme a Luca Baldo, ma quello bravo era lui.
«È vero, era un ottimo calciatore. All’inizio gli facevo la riserva, poi cominciammo a giocare insieme. So che si è perso anche per storie di cocaina, ma ne ho visti tanti che avevano talento e non l’hanno sfruttato».
Phil Jackson, appunto, spiega l’importanza del gruppo sul talento singolo.
«Mi ci rivedo. I campioni a volte ti fanno vincere una battaglia, ma la guerra la vince la squadra. Ecco, mi piacerebbe un giorno essere come Jackson; in futuro mi vedo più in campo che come dirigente».
Il libro parla anche della rivalità tra Kobe Bryant e Shaquille O’ Neal, il primo definito inallenabile e il secondo il più pigro mai visto: esperienze simili?
«Giudico dall’esterno, ma ad esempio a El Shaarawy mi pare non abbia fatto bene giocare con Balotelli. Vede, la pigrizia non è svegliarsi alle 10 quando puoi, ma non venire in anticipo all’allenamento, non fare qualcosa in più per te stesso. Inallenabili non credo ce ne siano, ma gente che pensa più a sé che alla squadra sì».
Lei è stato guidato in passato da Allegri, Sarri, Pioli e Mandorlini: chi è stato il suo Phil Jackson?
«Direi Allegri per come gestisce i giocatori, ma anche Pioli mi ha dato tanto. Sarri lo stimo parecchio; mi ha sorpreso più il percorso a Empoli che al Napoli, se col suo calcio riesce a far divertire campioni come Higuain può andare lontano».
Jackson racconta di come un suo allenatore lo aiutò a gestire il sesso: a lei hanno insegnato anche questo?
«Sappiamo che intorno a noi c’è quest’aura di perversione, ma siamo professionisti. Al massimo fanno le solite battute, cioè se ti vedono nervoso ti dicono: “Vatti a fare una sc... per scaricarti”. E poi occorre stare attenti, per molte donne noi calciatori siamo obiettivi economici a cui attaccarsi. Molte di mestiere fanno la moglie del calciatore, però ce ne sono tante che per seguirci lasciano città, famiglia, lavoro. Mia moglie Annalisa, ad esempio, è ingegnere civile e ha fatto delle rinunce. È lei quella più attenta, io per carattere sarei più spendaccione».
Farebbe sposare sua figlia Sofia a un calciatore?
«Certamente sì».
Facile dirlo quando la sua unica trasgressione nota è un tatuaggio.
«A dire il vero dietro questo aspetto serio c’è un ragazzo che di serate ne ha fatte tante... Ma la storia del tatuaggio ha un significato particolare. Nel 2007, dopo aver perso i playoff per la B, io e i miei amici Masucci e Gambadori ci tatuammo una fenice perché saremmo risorti dalle ceneri e infatti così è avvenuto. Quella è stata la delusione più grande della carriera. Come gruppo, certi valori io li ho trovati solo nelle categorie inferiori. Si figuri che il mio fan club ha sede in una barberia. È cominciato tutto tanto tempo fa, c’erano pochi soldi e mi regalarono una bici personalizzata. Mi soprannominavano Puma perché dicevano che avevo il passo felpato alla Emerson. Il mio mito però è Pirlo, e non perché sono milanista: è stato il centrocampista più forte del mondo».
La sua storia sembra speculare a quella di Berardi: talento immenso. E voglia?
«Io non sono stato baciato dalla sorte, ho limiti fisici e tecnici, ma se Domenico sarà forte di testa in 4-5 anni diventerà tra i più forti d’Europa».
Che dice, Conte lo perdonerà? Peccato che alla Nazionale non si tenga così tanto.
«Guardi che stava male davvero. Non vedo questo “non amore” per l’azzurro. Io ad esempio ci andrei di corsa se Conte non chiamasse sempre gli stessi (e ride, ndr ). Tutti giocherebbero un Mondiale ogni due mesi; il problema sono le amichevoli che fanno accumulare tante partite».
Lei è stato al Gubbio e conosce la storia di Simone Farina, che per avere denunciato un tentativo di corruzione è stato emarginato: che ne pensa?
«Ha avuto la forza e il tempismo per raccontare certe cose. Tante persone però sono state buttate dentro senza reali colpe. All’epoca il reato di omessa denuncia non pareva così grave, se avevi la coscienza tranquilla non gli davi tanto peso. Certo, io denuncerei, anche perché ho sentito che il fenomeno si è esteso anche alle partite delle giovanili, ma ammetto che chi denuncia sarebbe guardato ancora male».
La filosofia di Buffon di «meglio due feriti che un morto» esiste ancora, quindi.
«Il 99 per cento dei calciatori la pensa come lui, solo che non ha il coraggio di dirlo. In certe gare di fine stagione a me è successo di non avere gli stessi stimoli dell’avversario. Magari per questo ho fatto qualcosa in meno, ma non ho mai regalato un gol o una partita».
In una intervista El Shaarawy diceva che vedendo tanti calciatori pensava: «Ma come fanno a essere così imbecilli?», ammettendo poi che anche lui aveva corso questo rischio: e lei?
«Anche io, ma cerco di non esserlo perché tengo all’opinione degli altri. Tanti di noi invece sono pigri e menefreghisti, anche a costo di passare per cretini».
Sport e religione: alla luce dell’attualità, non c’è alternativa alla guerra?
«La guerra porta alla guerra e sarà sempre così. Noi siamo da questo lato del mondo e non sappiamo che si provi a stare dall’altro. Non possiamo andare lì noi occidentali e distruggere tutto. È una rivoluzione che deve partire dall’Islam moderato».
Se fosse un marziano, che penserebbe di un Paese in cui un premier, nel recente passato, e il presidente di Confindustria sono proprietari di due squadre di A?
«Se fossi un marziano andrei subito in Italia perché è il paese dei balocchi dove tutto è permesso. Faccio una cosa perché poi mi torna qualcosa. E pensare che potremmo vivere benissimo».
Senta, ma lei è di sinistra?
«Non credo, perché non esistono più destra e sinistra. Renzi ad esempio sta facendo un buon lavoro, ma dovrebbe essere aiutato da tutti. A contare davvero, però, sono i poteri forti, le massonerie, le lobby bancarie, Bilderberg (il meeting annuale riservato a personalità di altissimo livello su cui non filtrano informazioni ufficiali, ndr )”.
Be’ un potere forte è anche la Confindustria del suo patron Squinzi.
«È vero, ma c’è gente che alzando il telefono influisce sull’economia mondiale».
Pensi allora nel calcio che può succedere...
«Potenzialmente sì, ma poi in campo vanno gli uomini, e le cose da Calciopoli sono cambiate. Certo, l’arbitro è umano e quindi, purtroppo, se protesto io o Totti c’è differenza, a lui viene concesso qualcosa di più».
Tanto il prossimo anno in Europa può andarci pure lei col Sassuolo.
«Eh sì, ma occorre stare attenti, perché il confine tra una stagione esaltante e mediocre è sottile. Comunque, se ci andiamo giuro che mi faccio un altro tatuaggio. E stavolta sarà un’aquila».