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 2015  novembre 20 Venerdì calendario

I professionisti dell’abbuffata. Viaggio nel mondo dei competitive eater, quelli che riescono divorare 170 ali di pollo in 12 minuti

Miki Sudo è una graziosa ventinovenne nippoamericana: lineamenti delicati, corpo snello, gambe leggere. Il tipo giusto per promuovere un integratore di Omega 3 o una nuova palestra. Invece si distingue in ben altre specialità: divorare 170 ali di pollo in 12 minuti e, se l’occasione lo richiede, anche 38 hot dog in 10. Miki Sudo è, a colpi di record, la nuova stella nell’Olimpo dei mangiatori professionisti. Più precisamente i competitive eater, sportivi dell’abbuffata che si sfidano a ingurgitare più cibo possibile in una manciata di minuti. Uno “sport” diffusissimo negli Stati Uniti, ma che si sta facendo largo anche nel Regno Unito e in Giappone. Come in tutte le discipline, anche il “competitive eating” ha le sue specialità: oltre ai classici hamburger, il tacchino o i tacos ci sono sfide al gusto di torte nuziali, pastrami e cocktail di scampi. A parte la Sudo, i grandi nomi di questo strano mondo sono quelli di Joey Chestnut, che ingurgita 8 chili e mezzo di asparagi nei canonici 10 minuti, e Matthew Stonie, che butta giù 182 fette di bacon in 5. Parliamo di professionisti con tanto di federazione, l’International Federation of Competitive Eating, che stabilisce le regole delle gare: i partecipanti devono essere maggiorenni, le sfide non durano in media più di 10 o 12 minuti, è permesso immergere il cibo in acqua per ingerirlo più facilmente e deve essere presente personale medico per eventuali emergenze. Cartellino giallo per chi mangia sporcandosi troppo, quello rosso (e conseguente squalifica) per “reversal of fortune”, rovesciamento delle sorti, meglio conosciuto come vomito (durante la gara).

BUSINESS REDDITIZIO. Il motivo che spinge a ingollare chili di cibo? Soldi e fama. Di solito nelle gare di professional eating i premi si aggirano intorno ai 2.000 dollari per il vincitore e via a scendere, anche se in alcuni dei tornei più famosi, come quello di Elk Grove in California, chi mangia più torte alla zucca si aggiudica la cifra non indifferente di 4.000 dollari (Miki Sudo l’ha vinto nel 2014). Da non sottovalutare gli introiti pubblicitari: Joey Chestnut, per esempio, ha firmato un contratto da 100.000 dollari per sponsorizzare dei prodotti contro... il gonfiore di stomaco. Di soldi, come in ogni sport professionistico, ne girano parecchi: uno dei campioni del passato, il giapponese Takeru Kobayashi, era arrivato a guadagnare anche 500.000 dollari all’anno grazie agli sponsor ma ora, causa litigi proprio sui contratti di sponsorizzazione con la Major League Eating (l’ente organizzatore dei maggiori eventi), è stato escluso dalle competizioni.

TRAINING DA CAMPIONI. Il bello di questo sport è che non prevede un allenamento tosto. Sebbene i campioni siano gelosissimi dei segreti del loro training, si sa che c’è chi consuma una gran quantità di acqua per espandere lo stomaco e chi preferisce il digiuno, ma tutti masticano chewing gum (meglio se quattro o cinque alla volta) per assicurarsi mandibole da squalo. La Sudo sostiene di non allenarsi in modo particolare: «Nei giorni prima bevo solo liquidi e sto a stecchetto. Nei tornei preferisco gareggiare con cosce di pollo, ma posso mangiare di tutto. Di italiano ho mangiato un panino con polpette di sette chili a Chicago. Buonissimo», giura la campionessa che grazie alle competizioni può arrivare a guadagnare fino a 10.000 dollari al mese. Problemi? «Mai avuti. A fine gara sto male solo se perdo, se vinco invece sono molto contenta. Ma dopo non festeggio certo con una cena». Le gare dei competitive eater sono seguitissime su Internet, ispirano diversi reality televisivi e, sul posto, possono richiamare fino a 50.000 spettatori.

Ma non viviamo in un’epoca in cui impera l’input del mangiar sano? «Questi divoratori incarnano un desiderio del consumatore moderno: abbuffarsi senza inibizioni e senza pensare alle conseguenze per la salute e l’estetica», spiega l’antropologa Alessandra Guigoni. «La società occidentale è il regno dei “no” e delle proibizioni, popolata di uomini e donne perennemente a dieta. Chi platealmente rompe il tabù, suscita ammirazione e consenso. Ma sono un’eccezione. I super mangiatori sono dei freak: solo a loro è concesso rompere gli schemi e sovvertire un ordine che, nella realtà, resta inalterato».

CAPACITÀ INNATA? Queste sfide non possono non lasciare il segno. Una ricerca dell’Università della Pennsylvania è andata a verificare cosa succede allo stomaco di un competitive eater dopo averlo riempito di hot dog (36!) conditi con bario (mezzo di contrasto visibile nelle radiografie): lo stomaco della “cavia” si dilatava innaturalmente per poi tra sformarsi in una grossa sacca flaccida, in grado di contenere di tutto. L’espansione comportava però la perdita della capacità di contrarsi e svuotarsi, in altre parole era inibita la peristalsi, il movimento digestivo. Proprio per la straordinaria capacità di accoglienza del suo stomaco, il competitive eater aveva anche perso per sempre il senso di sazietà. Ne era perfettamente consapevole così, prima della gara, mangiava poco senza concedersi bis (ecco spiegato perché questi “sportivi” difficilmente sono grassi).

«Non sappiamo ancora quanto questa abilità sia innata o dovuta al training e allo sforzo delle gare», ammette il radiologo Marc Levine, che ha diretto lo studio. «Lo stomaco è un organo straordinariamente flessibile», spiega Giuseppe Marinari, responsabile del Centro chirurgia dell’obesità dell’Istituto Humanitas di Rozzano (Mi), «che può contenere fino a 2-3 litri di liquido. Più si espande e meno diventa elastico, come succede a un palloncino gonfio d’aria, e questo spiega perché il suo movimento s’inibisca. Una volta sospese le abbuffate, però, anche lo stomaco di un grande mangiatore può tornare alle dimensioni originarie». Ma, a gara finita, la montagna di hot dog, hamburger o torte viene effettivamente digerita? Perché in questo caso le conseguenze non si limiterebbero ai guai di stomaco. Ebbene, fra i dettagli su cui spesso volutamente si sorvola c’è il fatto che dietro le quinte degli show ci sono sempre dei secchi per vomitare. E, molto spesso, vengono usati.

IN LABORATORIO. Ma c’è anche chi stramangia per fini più nobili. Tra questi meritano una menzione d’onore le cavie umane che si sottopongono a diete ipercaloriche per raccogliere dati sull’ipernutrizione. Di solito si tratta di studenti di medicina che, dietro compenso, vengono bombardati per un certo periodo di calorie per poi essere pesati, sottoposti a prelievi e studiati. Una delle ricerche più recenti, pubblicata su Science Traslational Medicine, è americana e ha coinvolto un piccolo campione di sei uomini. «Erano previsti tre pasti da 1.500 calorie l’uno e tre snack da 500», spiega Salim Merali, uno dei ricercatori. Lo studio è durato una sola settimana, ma tanto è bastato perché nei volontari si registrasse una preoccupante predisposizione al diabete, con segni di resistenza all’insulina e danni cellulari causati da un eccesso di radicali liberi. Un’altra ricerca ha coinvolto 25 ragazzi che per 2 mesi hanno mangiato 1.000 calorie in più rispetto al normale. Lo studio, condotto al Pennington Biomedical Research Center di Baton Rouge (Louisiana), puntava a verificare l’aumento di peso in regimi dietetici diversamente proteici. Tutti i ragazzi sono ingrassati, i più fortunati 3 chili e mezzo, i meno fino a quasi 7 chili.

NEL SUMO, INVECE... Se ingrassare è sempre un effetto collaterale indesiderato, ci sono alcuni ambiti dove invece è auspicabile. Nel sumo, per esempio. In questo sport la mole è importantissima perché aumenta la stabilità in quanto abbassa il baricentro, dettaglio fondamentale in uno sport dove lo sconfitto è chi perde l’equilibrio e cade. Non a caso gli atleti veleggiano in media sui 150 chili. Anche la dieta, quindi, fa parte del loro training e il rancio a cui nessun lottatore può sottrarsi è il chanko nabe, una zuppa ipercalorica e proteica di cui non c’è un’unica ricetta ma che contiene praticamente tutto, compreso manzo, funghi, uova, pesce e pollo. I lottatori non fanno colazione la mattina perché preferiscono allenarsi a stomaco vuoto, ma intorno alle 11 si accomodano a tavola (ci ritorneranno verso le 19). Subito dopo il pranzo, pennichella in modo che le calorie vengano ben stoccate. Quanto mangiano? In uno studio del 2005 pubblicato su Ageing Research Reviews, John Phelan di U.C.L.A. e Michael Rose dell’Università di California Irvine hanno verificato che l’introito calorico giornaliero di un lottatore giapponese si aggira sulle 5.500 calorie. Una stima per difetto, sembrerebbe, pensando a ciò di cui era capace il lottatore Yasokichi Konishiki (287 chili per 1,84 metri), famoso per far fuori in un unico pasto dieci piatti di chanko, otto di riso, 130 pezzi di sushi e 25 di carne, senza tralasciare i dolci. Da far impallidire persino un competitive eater.