La Gazzetta dello Sport, 20 novembre 2015
Intervista a Fabio Capello, in difesa di Putin e della Serie A
Fabio Capello vive ancora a Mosca, capitale di un’altra nazione colpita al cuore dal terrorismo. Due giorni fa è stato annunciato che a provocare la disintegrazione dell’Airbus in volo da Sharm el-Sheikh a San Pietroburgo, il 31 ottobre scorso, precipitato nel deserto del Sinai, uccidendo 224 persone, è stata una bomba costruita in modo artigianale dai militanti dell’Isis, utilizzando una lattina di Schweppes Gold. Anche la Russia, in questi giorni in cui il mondo guarda alla tragedia degli attentati compiuti in Francia il 13 novembre, è un paese profondamente ferito.
Capello, che giorni sta vivendo la Russia?
«Putin ha subito avuto la percezione che a causare la caduta dell’aereo fosse stato un atto di terrorismo e ha immediatamente reagito. L’intera Russia è con lui».
Ora bisogna avere paura anche ad andare allo stadio.
«Il terrorismo vuole colpire i grandi centri di aggregazione, il calcio è un evento che può radunare 100 mila persone. Un attentato lì avrebbe una cassa di risonanza formidabile».
Che cosa la sgomenta di più in questa vicenda?
«Mi colpisce il fatto che i terroristi arrivino anche a suicidarsi per provocare una strage, in nome di un Dio e di una religione. È gente che non ha rispetto della propria vita e quando raggiungi questi livelli, sei pronto a tutto. L’altro aspetto che mi atterrisce è che le vittime vanno moltiplicate: ai morti degli attentati bisogna infatti aggiungere il dolore profondo, inumano, delle famiglie».
Inghilterra-Francia, con il minuto di silenzio e la Marsigliese cantata dai settantamila di Wembley, ci ha regalato una serata particolare.
«È stata un’iniziativa bellissima. Gli inglesi hanno dimostrato ancora una volta di essere un popolo serio ed efficiente. Il momento in cui il principe William ha deposto i fiori, con il premier Cameron alle sue spalle, è stato uno di quei gesti che fanno la storia. La gara è stata l’aspetto meno interessante. Una buona Inghilterra ha battuto una Francia che non poteva avere la testa giusta per giocare, ma i calciatori di Deschamps vanno elogiati perché non si sono tirati indietro».
Il calcio in Europa riparte con il Clàsico di Spagna e Juve-Milan.
«Sarò al Clàsico. È una partita chiave per il Real. Se il Barcellona vince va a +6, si mette male per il Real. Mi sembra che lì ci sia qualche problema, ma quando si giocano gare come questa, lo spogliatoio si compatta. Il Barcellona ha reagito benissimo all’indisponibilità di Messi. La sua assenza ha responsabilizzato l’ambiente ed è cresciuta l’autostima generale».
Il suo titolo per Juve-Milan?
«Ha il fascino della rimonta e non è poco. La Juve deve ritrovarsi, recuperando quelle che sono sempre state le sue caratteristiche: fame e determinazione. Il Milan sta crescendo partita dopo partita. Mi metto nei panni di Mihajlovic e immagino quale sia il suo stato d’animo. Vorrebbe rivedere in gara gli atteggiamenti e i riscontri degli allenamenti. Il problema è che talvolta i giocatori non riescono a dare quello che hanno mostrato durante la settimana. Ci sono maglie, come quella del Milan, che pesano più di altre, ma è questo il passaggio che rende grande un calciatore: saper rendere al massimo senza lasciarsi condizionare dal nome della squadra che rappresenta».
Tra Juve e Milan chi può davvero rimontare?
«Credo più alla Juve. Mi pare che le prime risposte siano già arrivate e penso che possa tornare in corsa per il titolo. Una partenza lenta era prevedibile dopo gli addii di Tevez, Vidal e Pirlo. Il Milan ha cambiato molto e va dato tempo all’allenatore. Il calcio ha purtroppo questo difetto: è impaziente. Quando compri molti calciatori di buon valore, pensi che il più sia fatto, ma non è così. Per vincere devi avere una base solida e acquistare due ottimi giocatori per volta».
Pogba va a intermittenza.
«Anche qui un rigetto iniziale era prevedibile. Il peso della responsabilità non è indifferente. Ora gli hanno dato la bacchetta del direttore d’orchestra e lo scenario è cambiato. Bisogna solo avere pazienza, il talento di Pogba non si discute».
Dybala?
«Mi piace molto. Ha enormi qualità, ma è giovane, ha 22 anni e gli va concesso di sbagliare, o di avere pause. Si cresce anche così».
Il 19 novembre 1995 Gianluigi Buffon debuttava in Serie A in Parma-Milan. Vent’anni di Buffon.
«Ricordo bene quel giorno perché ero io l’allenatore del Milan. Quando negli spogliatoi mi arrivò il foglio con la formazione del Parma, rimasi sorpreso. Dissi “ragazzi, questi mandano in campo il portiere della Primavera”. Dopo la partita, capii il motivo di quella scelta: finì zero a zero e Buffon salvò il Parma con tre parate straordinarie».
Dove collocare Buffon nella storia del calcio?
«Tra i primi cinque portieri di tutti i tempi. Condivido la classifica della Gazzetta: Zoff, Zamora, Jascin, Banks e Buffon sono i migliori di sempre».
Nel Milan un altro Gianluigi portiere minorenne: Donnarumma.
«Conosco Diego Lopez. Ottimo portiere. Ottimo professionista. Ottima persona. Se Mihajlovic ha scelto Donnarumma, ha intravisto doti eccezionali».
Indossare la maglia di titolare del Milan a sedici anni non è cosa da poco.
«Maldini e Rivera diventarono titolari poco più che ragazzini. La differenza sta nel ruolo. Quello del portiere è particolare, ma Buffon dimostra che quando c’è un talento fuori dalla norma è giusto rischiare».
Capello ha giocato e allenato la coppia Juve-Milan: chi le è rimasto di più nel cuore?
«Non riesco a indicare una preferenza. Nella Juve ho vissuto la parte migliore da calciatore e l’ho allenata per due stagioni. Per me quei due scudetti furono conquistati sul campo. Non ho mai avuto il segnale che fossero stati regalati. E sono amico da sempre della famiglia Agnelli. Nel Milan ho chiuso la carriera da giocatore e grazie alla fiducia di Berlusconi ho iniziato quella di tecnico. Con il Milan nei primi anni 90 vincemmo tutto, stabilendo record straordinari. Ma per altre ragioni mi sento legato anche a Roma e alla Roma. Lo scudetto del 2001 fu una grande impresa».
Juve-Milan può rappresentare anche il rilancio del campionato italiano?
«La Serie A è migliorata e sta tornando ad alti livelli. Nelle difficoltà, i club sono stati bravi a puntare sui giovani. Il nostro calcio è nuovamente competitivo in Europa. I problemi non sono tecnici, ma ambientali. Gli stadi vecchi e vuoti sono il nostro grande limite. Un derby giocato senza le due curve, come quello romano, è un brutto segnale. Agli ultrà è stato concesso troppo e tornare indietro ora non è facile».
Higuain è il calciatore più forte del nostro campionato in questo momento?
«È sicuramente l’attaccante più forte. Lo conosco bene perché io e Franco Baldini lo portammo al Real Madrid, insieme a Gago e Marcelo».
I playoff europei hanno completato la rosa delle ventiquattro finaliste con Irlanda, Ucraina, Ungheria e Svezia: la sua griglia di partenza?
«Germania e Spagna favorite. Poi la Francia. M’intriga molto l’Inghilterra, piena di giovani interessanti, ma come al solito bisogna vedere come staranno in estate».
Possibili sorprese?
«Austria e Polonia».
L’Italia?
«Stiamo migliorando partita dopo partita. Conte sta lavorando bene».
Le ultime due amichevoli hanno mostrato qualche crepa in difesa.
«La difesa è l’ultimo dei problemi. Un calo può starci, ma un reparto con Buffon, Chiellini, Bonucci e Barzagli offre ampie garanzie».
I nostri giovani?
«C’è qualcosa di interessante. Bernardeschi è un talento vero. Berardi mi piace. I prossimi sei-sette mesi potrebbero regalare a Conte qualche bella sorpresa».