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 2015  novembre 20 Venerdì calendario

Quella volta che il Pontedera batté l’Italia. I ricordi di Francesco D’Arrigo in un libro

È il 6 aprile 1994. La nazionale italiana di Sacchi si prepara ai Mondiali negli Stati Uniti e organizza un’amichevole con il Pontedera di Francesco D’Arrigo, che fa faville in C2: finisce 2-1. Sì, per il Pontedera. Nemmeno il maxi recupero concesso da Collina salva gli azzurri. D’Arrigo, la “Gazzetta dello Sport” titolò: «Ai mondiali il Pontedera». Che ricordi conserva?
«Per noi fu semplice. Sacchi mi disse che la prima partita del Mondiale sarebbe stata con la Norvegia, che pressava alto. Mi chiese di fare lo stesso e io gli risposi che non c’era nessun problema. Fa sorridere ma noi lo facevamo di continuo, era normale per il mio Pontedera, poi infatti vincemmo anche il campionato».
Ora D’Arrigo ha smesso di allenare i giocatori per allenare gli allenatori. E ha scritto Il senso del gioco (La Casa Usher, 19 euro, pp. 170), qualcosa di diverso rispetto ai soliti volumi di tattiche e schemi.
Colpisce il sottotitolo del suo libro: «Riconoscere la bellezza del calcio». Qual è per lei questa bellezza?
«Credo che gli allenatori debbano condividere dei principi permettendo ai giocatori di scoprire la gioia per il gioco. Che poi è la sua bellezza. Dobbiamo ritrovare la felicità che si aveva da ragazzini quando si giocava a calcio all’oratorio, o al pioppo davanti a casa».
Lei spazia da Nietzsche a Pasolini. È d’accordo con Mourinho quando dice che «chi sa solo di calcio non sa niente di calcio»?
«Certo. Non si può insegnare calcio senza avere cultura».
Sì però, D’Arrigo, la sento male...
«Sto tornando da Madrid, quattro giorni con la scuola allenatori spagnola, la più evoluta in Europa. Felicità vera».
Perché ha deciso di abbandonare la panchina?
«Non stimavo più i giocatori, e davo loro la colpa degli insuccessi. Grazie a Ulivieri (presidente AssoAllenatori, ndr) vedo il calcio con una luce diversa. Lui mi disse: “Devi ricominciare a studiare”. Mi sono appassionato e ho capito che inconsciamente ero insoddisfatto di quello che proponevo».
L’Italia è stata appena sconfitta dal Belgio, 1 ̊ nel ranking. Cosa ci manca per arrivare a quel livello?
«I belgi puntano sugli istruttori, che devono aiutare i giovani a esprimersi. È fondamentale, invece noi pensiamo più alle strutture che alla forma».
Quali sono le società-modello in Italia per la crescita dei giovani?
«Atalanta e Milan».
Chi la impressiona in A?
«Napoli e Fiorentina, fanno il miglior calcio, le mie idee le ritrovo in loro».
A proposito, lei conosce Sarri. Qual è il suo segreto?
«Sta in campo dall’inizio alla fine di ogni allenamento. Valuta, indica dei percorsi e incide sulla squadra».
Sottovalutiamo gli allenatori nostrani?
«Siamo stati fermi per anni cullati dall’invidia del mondo, intanto gli altri lavoravano. Se alla nostra tradizione integriamo le nuove prospettive avremo allenatori sempre più bravi, come Di Francesco o Stellone, nella scia di Sarri».
Dopo Guardiola chi sarà il prossimo rivoluzionario?
«Il calcio del futuro sarà l’alternanza nell’arco della partita: dal possesso all’attacco verticale, dal pressing alla costruzione. Anche Pep sta cambiando, è un sintomo».
Tra i campioni che si sono seduti davanti a lei a Coverciano chi la intriga?
«Ho insegnato a Gattuso, Cannavaro e Materazzi, hanno passione ma devono studiare ancora. Credo che Oddo sia il più interessante, mi ha colpito. Ha molta cultura e attitudine, come anche Lanna, vice di Corini, e Mandelli».