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 2015  novembre 20 Venerdì calendario

Vita di Goffredo Parise, che girava Roma scorrazzando a bordo di una spider

Goffredo Parise è nato aVicenza nel 1929. Notizia geograficamente esatta. Ma non tale se si considera che questo nomade della letteratura si è trasferito presto a Venezia, dove scrive Il ragazzo morto e le comete (edito da Neri Pozza, riedito dalla Einaudi), poi a Milano, dove lavora alla Garzanti che manda in libreria Il prete bello (straordinario successo). Quindi, dopo lo spaesamento meneghino e i pessimi rapporti con Livio Garzanti (uomo umorale e sbadigliante, che dava continui segnali di noia, vera o affettata, e amava mettere zizzania tra i suoi collaboratori), si trasferisce a Roma, città che considera magnifica e accogliente e occasione di incontri importanti (Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini e vari altri artisti), ma che alla fine gli darà fastidio in quanto «sempre di più arabizzata».
Parise oggi così ingiustamente dimenticato da lettori, critici ed editori parla spesso con il concittadino Guido Piovene della “vicentinità” e la rifiuta (forse è troppo legata allo stato di figlio di padre ignoto: fu successivamente adottato dal marito della madre); e altre città dove ha vissuto rappresentano fonte di rinascita umano-letteraria. Da esse ne viene plasmato: il tono stilistico delle sue pagine lo testimoniano. Parise, ovvero le tante città.
Neri Pozza ha pubblicato un’eccezionale biografia di Parise, emarginato come tanti narratori del Novecento, intitolata Fino a Salgareda (pp. 204, euro 14). L’autore è Silvio Perrella. Non è certo a lui attribuibile un titolo tanto vago quanto bruttissimo. Che significa Salgareda (paese del Trevigiano ove passerà la sua ultima stagione) per il lettore, il quale non trova nemmeno un sottotitolo col riferimento a Parise? Colpevole stranezza dell’editore.
Dicevamo che Goffredo nel 1950 si stabilisce a Venezia dove tra una passeggiata e l’altra scrive Il ragazzo morto e le comete. Confesserà che la città lagunare è il luogo della sua prima trasformazione, al punto tale che «se esiste una mia radice ideale, non pratica, è l’attaccamento che nutro, profondissimo, per Venezia. Non sono nato a Vicenza, ma a Venezia. Perché la vera nascita non è quella biologica, bensì quella culturale». Poi va a Milano a lavorare alla Garzanti. Nelle pause si appoggia a una parete di un edificio dopo aver chiesto a un mendicante di svegliarlo dopo mezz’ora. A Milano ci è arrivato con un lungo cappotto nero in segreto omaggio a Dostoevskij. S’accorge subito che la città lombarda impone di «trasformarsi in uomini adulti». Conosce Leo Longanesi, che lo incoraggia a scrivere, ed Eugenio Montale, uno dei pochissimi recensori dei suoi scritti (l’amicizia durerà fino alla morte del poeta). Sposa (Giovanni Comisso testimone) Mariolina Sperotti detta Mariola. Unione sfilacciata, scialba. La sua vera compagna di vita è la pittrice Giosetta Fioroni, conosciuta a Roma: sarà a lei che detterà (ormai impossibilitato a scrivere dopo l’infarto) trenta criptiche e non memorabili poesie.
A Roma, dove ha occasione di affondare il bisturi conoscitivo negli strati più profondi e antichi dell’Italia, va ad abitare alla Camilluccia (vicino a Gadda) e la gira scorrazzando a bordo di una spider: immaginate il divertente imbarazzo del “gran lombardo”, capace di problematizzare anche l’attraversamento di una strada? Intanto, scrive i Sillabari (Mondadori). Ci mette dentro se stesso, lui così refrattario all’autobiografismo. Confessa in una lettera ad Alcide Paolini: «Non sto bene: un alter ego atroce, beffardo, crudele, disumano e nazista mi perseguita...». Accenna alla «colpa». «Colpa sanguinolenta dell’origine», annota Silvio Perrella, «di cui sa di potersi liberare solo con la morte, in un Veneto barbaro di muschi e nebbie». Ma Salgareda diventa patria per uno scrittore che ha viaggiato molto: a New York («città di matti, dà nausea come si fosse ubriachi») riflette sull’«uomo artificiale», in Giappone sull’eleganza, in Cina avverte uno spaventoso fanatismo. Sono una sorta di «libertinaggio lessicale» i suoi reportage che lo faranno meditare sul futuro del romanzo. Curioso di tutto, anche delle donne. Con moltissime si annoiava: «Mi rubano tempo». Eppure le descrive in tutta la loro intensa sensualità, indulgendo con raffinata precisione sulla seduzione olfattiva.