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 2015  novembre 20 Venerdì calendario

«Nelle farmacie di Bangkok ci vogliono fiori, colori e palloncini». Ornella Barra, tra le donne più potenti del mondo, spiega come si vendono medicine e prodotti di bellezza. E con 370 mila dipendenti, 13.100 punti vendita e un giro d’affari che supera i 103 milioni di dollari, sa quello che dice

«In che lingua penso?». Già: domanda tutt’altro che peregrina. Ornella Barra è ligure di Chiavari, risiede a Montecarlo ed è alla testa di un colosso multinazionale il cui cuore batte anche nel centro di Londra: al quarto piano di una palazzina nel mezzo di Oxford Street. «Ogni tanto faccio un po’ di confusione: inglese, francese, italiano... Ma la verità è che, se avessi più tempo, imparerei anche altre lingue. È importante andare in giro per il mondo e poter creare subito un rapporto con gli interlocutori nella loro lingua». Perchè la dottoressa Barra, assieme a Stefano Pessina, compagno negli affari e nella vita, guida Walgreens Boots Alliance, un gigante assoluto nella distribuzione di farmaci e prodotti di bellezza con un giro d’affari di 103,4 miliardi di dollari, presente in 25 Paesi con 370mila dipendenti e 13.100 punti vendita, che serve in totale oltre 200mila farmacie.
Il giornale americano Fortune l’ha messa nella top 25 delle donne più potenti dell’area Europa, Medio Oriente e Africa: unica italiana con Marina Berlusconi. Ma non stupitevi se ne ha sentito parlare solo chi legge le pagine finanziarie dei quotidiani. «I miei mi hanno insegnato, fra tante altre cose, che non è l’apparire che conta, ma l’essere. Che è meglio farsi conoscere per quello che si fa, non per ciò che si dice…», argomenta per spiegare perché l’archivio abbia restituito, al giornalista che si preparava all’incontro, un numero d’interviste che una mano basta – e avanza – a contare. «E questa è una delle tante cose che uniscono me e l’“ingegnere” (come, ogni tanto durante la conversazione, chiama Pessina, ndr)».
Anche questa volta, a dire il vero, l’hanno fatta grossa: tre settimane fa negli Stati Uniti – dove il gruppo Wba ha già il controllo totale di Walgreens, prima catena di drugstore – hanno firmato l’acquisizione del concorrente Rite Aid. «È la conferma di una regola generale della vita: tutto è relativo», risponde Ornella Barra alla richiesta di chiarire, in modo semplice, un’operazione da 17,2 miliardi di dollari. «In Europa non ci sono catene di queste dimensioni: Boots, che è il leader di mercato in Inghilterra (ed è uno dei brand più noti e diffusi del Paese, ndr), conta circa 3 mila punti vendita. Che per il gruppo, aggiungendo Messico, Cina, Thailandia, Norvegia, Olanda e Paesi del Golfo, diventano – al di fuori degli Stati Uniti – 4.500. Ebbene, il solo Rite Aid, che in America è la terza catena, ha 4.600 punti vendita (Walgreens arriva a 8.200, ndr). La nostra logica, in questa acquisizione, è stata anche di arrivare a una copertura geografica completa, visto che loro sono molto diffusi nella East Coast e in Pennsylvania. Quando l’abbiamo decisa? A dire il vero, non è che se ne parli necessariamente troppo a lungo…», sorride. «Noi cerchiamo di essere dinamici. Abbiamo contatti con tutti, studiamo le aziende, le opportunità... Poi, ovviamente, come quando ci si fidanza, bisogna essere in due. E allora non dipende solo da te». Ora si tratta di mettere insieme tutto. «Stefano, che è geniale, è sempre concentrato nel vedere il prossimo passo e lo sviluppo dell’azienda. Lui è l’architetto, poi gli ingegneri devono vedere come organizzare, ristrutturare, valutare le opportunità, le sinergie… Ma la prima cosa resta sempre quella di capire gli altri. Con la necessaria umiltà».
All’olandese e alla thailandese. E pensare che, per Ornella Barra, tutto è nato da una semplice farmacia: Bellagamba, di Chiavari, dietro il cui bancone, in camice bianco ha cominciato a imparare i rudimenti del mestiere quando ancora stava finendo l’università, a Genova. «Credo di avere la farmacia nel Dna. In qualsiasi Paese del mondo mi trovi, vado a visitarle». La più bella che abbia visto? «Non ce n’è una. Ogni Paese è diverso, con servizi e layout diversi. In Norvegia, le nostre farmacie hanno un’impronta norvegese. In Olanda vogliono che ci sia la presenza di tanti farmacisti e tutto il resto faccia da contorno: mica possiamo rovesciare il loro secolare modo di concepirla! Sta a noi capire, adattarci».
Un tema che si sarà posto ancor di più nelle acquisizioni in Paesi ancora più lontani. «Quando abbiamo fatto la fusione con Boots, è sorta la domanda di come gestire quelle in Thailandia. A Bangkok il modello inglese  è considerato triste. Anche in farmacia amano i colori, i packaging con tanti fiori, la musica, i palloncini all’ingresso… Con il team locale, abbiamo cambiato tutto: oggi siamo la prima catena, da 60 farmacie siamo passati a 250».
Qual è la lezione? «Serve umiltà e volontà di capire i modelli locali. Non possiamo dire: abbiamo un “modello”, esportiamolo. Certo, si possono portare i prodotti, ma si deve capire cosa le donne americane, thailandesi o cinesi desiderano. Se mi chiede quale sarà il ruolo della farmacia le rispondo che sarà sempre il fulcro della salute ma sempre di più orientata allo sviluppo dei “servizi della salute”: ovunque si sente il bisogno di qualcuno che ci dia il consiglio giusto – un primo riscontro – al momento opportuno ad orari in cui è difficile trovare medici reperibili. In molte farmacie Boots già si fanno i test per il diabete, gli esami dei nei e il tampone faringeo: il farmacista può dire subito se il mal di gola è dovuto a un virus o è batterico, e decidere se dare un antibiotico o no, chiedendo la ricetta per email al medico di riferimento. Poi c’è l’angolo dell’ottica, per la misurazione della vista. In America è possibile pure fare tutte le vaccinazioni. Poi, però, le differenze fra Paese e Paese ci saranno sempre per ragioni di cultura di tradizione che si devono rispettare».
L’importante, comunque, è sempre agire, non parlare. Fare. «Dietro quel bancone, quando avevo 24 anni, ho imparato a gestirla, una farmacia. Sarà anche per questo che oggi, da ex titolare, credo di capire quali sono le necessità dei colleghi». Per esempio? «Quella di capire sempre che una farmacia, oltre che un centro di salute, è un esercizio finanziario. E va gestito di conseguenza. Ma anche il fatto che il farmacista deve evolvere: i pazienti, peraltro, che sono sempre più informati, oggi lo impongono. Io l’avevo già fatto 35 anni fa. Avevo già inserito l’erboristeria, l’omeopatia, la cosmetica. La mia farmacia, poi, era sempre aperta».
Una vera vocazione. «In realtà», spiega la dottoressa Barra, «la mia passione sarebbe stata la chirurgia: ancora adesso fra i libri – non molti, purtroppo – che ho il tempo di leggere, do la priorità a quelli che raccontano nuove scoperte della medicina». Chi la fermò? «In famiglia c’erano dei medici che me lo sconsigliarono. Avevano ragione: provi a dirmi, tornando indietro di 35 anni, quante donne chirurgo c’erano, in Italia e nel mondo. … “Rischi di essere frustrata per sempre, con il carattere che hai…”, mi dissero. Decisi di sterzare su farmacia. E già prima di laurearmi, ho cominciato a fare pratica. Solo che ogni giorno suggerivo al titolare: questo si potrebbe fare così, qui potremmo cambiare quest’altra cosa… Avevo l’entusiasmo della gioventù! E alla fine il farmacista mi propose: perché non la dirigi tu? Così è stato. Quando poi si presentò l’occasione di comprarla, andai da mio padre. “Fallo”, mi suggerì. Così fu. E siccome ho la fortuna di venire da una famiglia d’imprenditori, cominciai subito a ragionare in termini di iniziativa: osservavo la concorrenza e mi chiedevo “cosa devo fare per essere diversa dalle altre?”, “se altri fanno queste cose – tipo i prodotti di laboratorio – perché non posso farlo io?”. E sono partita». Funzionò subito? «Benissimo. Però mentre ero lì, mi sono studiata il mercato della distribuzione». E…? «Mi sono detta che non funzionava bene come dicevo io». Quindi? (C’è bisogno di dirlo?) «Ho aperto un’azienda di distribuzione».
Fare, fare. «I valori che mi hanno dato i miei genitori me li porto dentro ancora adesso. Sono fondamentali: lavorare sempre molto “hard” (il pensiero “in inglese” affiora qua e là, ndr), confrontarsi sempre, non dimenticarsi mai di imparare, riconoscere gli errori, così da apprendere altre cose. E restare sempre con i piedi per terra, perché le cose nella vita possono diventare diverse. Perciò, qualsiasi traguardo si raggiunga, l’importante è non cambiare dentro e nell’approccio con gli altri».
Dopo che ha aperto la distribuzione, naturalmente, Barra non poteva fermarsi lì. «Fu allora che feci una mappa di tutte le altre aziende del Nord con cui poter fare un accordo. Però, restando pragmatica, ragionai: da sola, non posso farcela. Ed è per questo che ho incontrato Stefano. Poi, insieme, abbiamo trovato il modello per ristrutturarle».
Con gli yesmen non si crea nulla. È l’inizio di una costruzione comune trentennale. «C’è stato un momento in cui, in Italia, compravamo decine di aziende una dopo l’altra. Era l’inizio degli anni 80. Le valutavamo, mettevamo insieme i magazzini, cambiavamo la logistica, la tecnologia... Poi abbiamo capito che, per raggiungere certe dimensioni, era necessario andare all’estero. E abbiamo applicato la stessa organizzazione in Francia, in Spagna, in Portogallo...». Poi il salto a Londra, l’acquisizione di Boots, le successive. «Quando siamo venuti in Inghilterra, passando da un’azienda quotata alla Borsa di Parigi a quella di Londra, con le dinamiche di un Ftse30, siamo passati da un’azienda – diciamo così – “familiare” a una con policy, gerarchia, regolamenti diversi, a cui ti devi adattare».   
La sintonia della dottoressa e dell’ingegnere è assoluta, questo – per quanto riservati siano – è noto. Ma capiterà pure qualche divergenza di opinioni. E in questo caso? «È semplice. Una delle cose importanti, nella vita, è l’intelligenza. Bisogna confrontarsi, “riconoscendo” l’altro, e il suo ruolo. In azienda lui è il capo: bisogna avere il rispetto delle sue capacità e della sua genialità. Se poi io penso una cosa diversa, però, devo avere il coraggio di dirglielo: non c’è niente di peggio del circondarsi di persone che ti dicono sempre di sì. Così non si crea nulla. Se poi, dopo avergli spiegato perché la penso in modo diverso, prende una decisione differente, bene, quella decisione diventa la mia».
Pausa. È un piacere sentire Ornella Barra raccontare. Poche chiacchiere, solo sostanza. Anche quando parla della passione per l’arte: «Quella antica, però, dal Trecento in poi, e non quella contemporanea, che non capisco». Ti riporta sempre ai fatti. Un sorso d’acqua prima di continuare. «Frizzante, naturalmente». Ora il “fare” potrebbe riportarli in Italia, se il percorso delle liberalizzazioni – in Parlamento in queste settimane – arrivasse in porto secondo il disegno che apre la possibilità alle farmacie di vendere, comprare, allearsi creando catene… «Aspettiamo di vedere che succede, senza fare lobbying di nessun genere. Dopo decideremo se intervenire o no. Ma non sarebbe mai una decisione dettata dal fatto di essere italiani: non puoi fare l’imprenditore se ti lasci trascinare dai sentimentalismi». Nel caso, ha già detto investirebbero in maniera “preponderante”. Come un gruppo con la potenza di fuoco di Wba può permettersi. «Quella legge, così com’è stata disegnata, sarebbe la strada giusta, per l’Italia. Perché, se un farmacista è bravo e ha voglia di comprarne altre 10, qualcuno glielo deve impedire? Perché se invece trova un partner, non può farlo diventare socio? E se al contrario si fosse stancato di fare il farmacista e potesse entrare a far parte di una catena più grande? E se non riuscisse più a gestire il proprio negozio, perché non può venderlo? Bisogna avere tutto il ventaglio di scelte. L’attuale impossibilità limita anche lo sviluppo della professione. Poi, se il farmacista non vuol vendere, nessuno la obbligherà. E resterà indipendente per i prossimi 150 anni».
Beh, con un concorrente – mettiamo – come Boots dietro l’angolo, forse non sarebbe così semplice. «Porto sempre l’esempio dell’Inghilterra», contesta Ornella Barra. «Su 12 mila farmacie, 6 mila sono ancora indipendenti. E convivono con noi e altre catene. Certo, sono  stimolate a fare sempre  meglio…». Lei cosa avrebbe fatto, se fosse stata ancora farmacista a Chiavari? «Di sicuro avrei voluto comprarmene delle altre». In fondo, come Ornella Barra dice spesso, «la vita è una costellazione di puntini, che vengono messi insieme. In qualcuno di quei passaggi trovi degli incontri significativi che cambiano il percorso della vita. E ogni incrocio, avvenuto in un certo giorno, e non in un altro, può rivelarsi decisivo. Ma bisogna avere la capacità di riconoscerlo». E poter “fare” le cose con cui lasciare la propria impronta.