Sette, 20 novembre 2015
Quei bravi giudici onorari che smaltiscono l’80% del carico dei tribunali, ma non hanno pensione, maternità, ferie, malattie
Il giudice onorario Giulio C., alle prese da 17 anni col diluvio di processi delle aule giudiziarie napoletane, che già tre secoli fa a Montesquieu parevano un bordello ingovernabile («Non c’è un Palazzo di Giustizia in cui il chiasso dei litiganti e loro accoliti superi quello dei tribunali di Napoli. Lì si vede la Lite calzata e vestita») ha quel male infido che Curzio Malaparte chiamava lo «stramaledetto». Eppure tempo fa, dopo un delicato intervento, ha dovuto sospendere la chemio e tornare al lavoro alla scadenza del 30º giorno di assenza per «non perdere il posto». «Posto» si fa per dire: non prende infatti un solo cent di indennità di malattia. Un caso vergognoso. Ma niente affatto isolato. Tutti i 3.800 giudici onorari che, introdotti nell’ordinamento nel 1998, svolgono le stesse funzioni giurisdizionali dei magistrati di professione, sono infatti precari. E dopo un primo contratto di tre anni viaggiano di proroga in proroga annuale. Senza alcuna certezza lavorativa, assicurativa, previdenziale. Nonostante i giudici onorari di tribunale (GOT) si facciano carico ad esempio del 97% delle esecuzioni immobiliari e i loro colleghi vice procuratori onorari (VPO) del 97% delle cause che finiscono davanti al tribunale monocratico, che a loro volta corrispondono all’80% del carico di un tribunale. Lo riconoscono gli stessi colleghi ordinari. Come quelli di Torino che, attraverso il procuratore della Repubblica Armando Spataro, hanno scritto al ministro della Giustizia: «Il carico di lavoro degli uffici di questa Procura (come di tutte le procure della Repubblica italiana) non sarebbe in alcun modo sopportabile, considerando il numero di magistrati ad essa destinati e i problemi connessi al deficit delle altre risorse umane e materiali effettivamente disponibili, senza l’ausilio e la collaborazione dei magistrati onorari». I quali mica lo fanno in modo saltuario: «Al contrario si tratta di magistrati onorari che esercitano le funzioni giudiziarie non certo in modo occasionale e privo di motivazione, ma anzi con encomiabile dedizione e professionalità». Non si tratterà del solito andazzo che vede precari di altri settori chiedere la stabilizzazione per scavalcare i concorsi e le graduatorie? No, riconoscono gli stessi «ordinari», cioè quelli teoricamente potrebbero fare questa obiezione: non si tratta di «una categoria di operatori del diritto che cerca di tutelare supposti privilegi acquisiti “a basso costo”».
Promesse tradite. Paola Bellone, che fa il giudice onorario da anni, conferma: «Senza di noi la giustizia sarebbe al fallimento. Eppure non abbiamo previdenza, assistenza per malattia, maternità, ferie, niente di niente. E il titolo balzacchiano di “onorari”, è un’etichetta falsa: per molti è l’unico “lavoro”. Non abbiamo mai chiesto d’esser arruolati tra i magistrati di carriera, mai chiesto i loro stipendi. Vogliamo solo continuare a fare ciò che facciamo, niente di più e niente di meno, ma con le garanzie di tutti i lavoratori e un trattamento economico dignitoso. È troppo?». No, rispondeva cinque anni fa l’attuale ministro Andrea Orlando, allora all’opposizione del governo Berlusconi. E per dare una sistemata alla Giustizia in crisi e oppressa da milioni di cause pendenti, metteva al primo punto «una stabilizzazione della magistratura onoraria, che superi la precarietà e dia regole certe a questo fondamentale pezzo della giustizia». La riforma in arrivo, a quanto denunciano i giudici onorari, dovrebbe essere invece questa: chiuso lo sgocciolio delle proroghe annuali (l’ultima scade il 31 dicembre) quattro contratti di tre anni in tre anni per un massimo di dodici. Sempre nella precarietà, però. Unica concessione, ironizzano gli «onorari», la facoltà concessa loro di farsi la pensione, ma a carico loro e senza oneri per lo Stato. Un «diritto» ridicolo, che avevano già prima, ovvio, come ogni cittadino che voglia farsi una pensione integrativa.