La Stampa, 20 novembre 2015
Dopo Casaleggio anche Fico affossa Di Maio: «Non sarà lui il leader del M5S»
«Il nostro obiettivo è la partecipazione diretta dei cittadini alla cosa pubblica, la democrazia diretta senza leader»: diciassette parole nella lunga intervista concessa ieri da Gianroberto Casaleggio a «La Stampa». Una frase che riporta il calendario del M5S al tempo della fondazione, a prima che Grillo e Casaleggio traessero un messaggio univoco dalla congerie di malcontento e militanza tradita che furono i vent’anni nei quali il sistema solare della politica italiana ruotava attorno a Berlusconi.
C’è nel M5S, e le parole di Casaleggio lo confermano, un’idea di Stato ancor più che di Paese radicalmente altra rispetto alla democrazia rappresentativa alle forme e ai modi nei quali questa si espleta a norma di Costituzione. Oggi, comunque la si pensi, non è più possibile liquidare l’esistenza politica dei Cinquestelle con una battuta, allo stesso modo nel quale il loro gradimento, che dal 2013 è rimasto sempre sopra il 20 per cento e oggi si avvicina al 30, non lo si può ridurre a un malanno stagionale dell’elettorato, a uno starnuto delle urne.
Dunque, il peso che si assegna alle parole di Casaleggio sta in quanto queste segnino e riaffermino la strada di un Movimento che vuole proporsi sì come forza di Governo, ma continua a sventolare la bandiera dell’anti-leaderismo, anche a dispetto di una leadership interna ormai riconoscibile come quella di Luigi Di Maio.
Ieri la reazione dei parlamentari Cinquestelle a quelle parole andava dall’adesione ispirata alla prosaica contestualizzazione. «Bisogna tenere presente il contesto – spiegava il senatore Alberto Airola, tra le voci più pragmatiche – Gianroberto è un anticipatore, ma per arrivare a quello devi essere consapevole. Ora il popolo italiano ha bisogno di un percorso e anche di un nome. Anche perché attualmente siamo in una realtà di democrazia rappresentativa e dobbiamo cercare compromessi. Ci sono aspetto complicati, alcune votazioni non sarebbe stato facile proporle sul blog. E poi non è che se vinciamo le elezioni cambiamo la costituzione dal giorno alla notte».
«Sì è vero – ammette Airola – stiamo scendendo a compromessi, ma sono necessari a sopravvivere. Anche quello di presentarci così spesso in tv lo è stato e ne paghiamo il prezzo. Saremo pure cresciuti nei sondaggi, ma adesso gli italiani guardano Di Maio, magari gli dicono bravo e restano seduti. Mentre il punto non è mai stato quello».
Di primato del nome non vuol sentir parlare Roberto Fico, presidente della commissione di Vigilanza Rai e spesso interprete del ruolo di guardiano dell’autentico spirito movimentista. «Il nostro presidente del Consiglio non sarà un leader, sarà un attivista, un semplicissimo portavoce come tutti gli altri alla stregua di un consigliere comunale che dovrà applicare il programma. Noi per ora dobbiamo stare a questo sistema –concede Fico – il Parlamento, per come oggi è organizzato, rende complicato riuscire ad applicare tutta la nostra teoria. Il fatto che a volte ci voglia il candidato sindaco e che questo finisca per essere e un leader è oggi inevitabile, ma noi proviamo a smontarne la figura. Quando saremo al Governo e ci saranno nodi importanti si voterà in rete». Sempre? «Altre volte si andrà per buon senso, sempre nel rispetto dei principi del Movimento».