Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 20 Venerdì calendario

Storia della famiglia Assad, i padroni della Siria. Dalla presa di potere a oggi, tra repressione, pistolettate, dollari, droghe e Mercedes

Metti una sera a cena con mamma, papà, fratelli e cognati in un quartiere bene di Damasco. Anzi un venerdì sera, giorno festivo per i musulmani, quando la matriarca raduna la famiglia allargata per l’incontro settimanale. A un certo punto uno dei figli inizia a litigare con il cognato e, come se fosse un modo plausibile per dimostrare di avere ragione, prende la pistola, preme il grilletto e gli pianta una pallottola nello stomaco. I diverbi nella famiglia del presidente siriano Bashar al Assad da sempre si sono risolti applicando la legge del più forte e della violenza. E visto che il popolo dovrebbe essere considerato una famiglia da chi lo guida, purtroppo non c’è da stupirsi se 16 anni dopo quella “allegra” cena del 1999, Maher Assad – colui che ferì il marito della sorella – e il fratello Bashar abbiano reagito con una brutalità sconvolgente alla rivolta siriana scoppiata quattro anni fa in Siria.
Costata la vita ad almeno 300 mila persone e costretto milioni a scappare. Il presidente Bashar al Assad, succeduto al padre Hafez nel Duemila, ha seguito fin da subito i consigli del sanguinario fratello Maher, militare di carriera, a capo della Guardia repubblicana e della famigerata Quarta divisione. Fu Maher a volere la repressione delle prime proteste nel 2011. Uno dei giovani promotori, Ibrahim Qashoush – soprannominato “l’usignolo della rivolta” perché si metteva in testa al corteo cantando – venne ritrovato cadavere con le corde vocali strappate.
Ed era stato sempre Maher, nel 2004, a ordinare ai suoi soldati la strage di al Qamisli dove una rivolta curda venne soffocata nel sangue, così come il massacro nella prigione di Sednaya del 2008, quando la Quarta divisione fece irruzione uccidendo centinaia di detenuti. Il sodalizio tra il presidente e il fratello-comandante è diventato ancora più stretto in seguito all’attacco con armi chimiche contro Ghuta, il quartiere ribelle di Damasco (morirono 1800 persone) nel 2013 ed è ormai indissolubile. Perché Bashar non è mai stato un politico di professione, né un uomo di comando, tanto meno un militare come il fratello minore. L’attuale presidente era avviato a una carriera di oculista a Londra dove ha incontrato la stilosa e ambiziosa first lady Ashma, figlia di un cardiologo siriano espatriato.
 
Mercedes, droghe e violenze
Ma il suo destino è cambiato improvvisamente nel 1994 quando il fratello maggiore, Basil, addestrato all’accademia militare sovietica di Mosca, all’età di 32 anni si schiantò con la sua Mercedes extra lusso mentre correva verso l’aeroporto per andare in Germania. La morte del “figlio d’oro”, del rampollo designato alla successione, amante della velocità e del paracadutismo, costrinse infatti il presidente Hafez Assad a cambiare delfino e a puntare sull’introverso Bashar, nonostante l’influente matriarca AnisaMakhlouf preferisse Maher, considerato però dal padre troppo irascibile e violento. L’altro fratello, Majid, non era mai stato preso in considerazione a causa del suo carattere instabile e per la dipendenza da droghe e medicinali. Nel 2009, all’età di 43 anni, morì senza essersi mai liberato della tossicodipendenza.
Da quarant’anni il destino della Siria è nelle mani, anzi nel pugno di ferro degli Assad. Una famiglia di umili origini, proveniente da Qardaha, un villaggio della costa nell’enclave confessionale alawita di Latakia. A causa della povertà, il nonno di Bashar al Assad non poté mandare il figlio Hafez, che fin da adolescente si era iscritto al partito laico socialista Ba’th, all’università. L’unico escamotage per scalare in fretta la vetta sociale era la carriera politica abbinata a quella militare, che Hafez intraprese fino a diventare generale dell’aviazione. Entrato in carica nel 1971 in seguito al colpo di Stato avvenuto quattro anni prima, Hafez mantenne lo stato d’emergenza e aumentò le agenzie di intelligence interne che infiltrarono capillarmente tutti i settori della società.
C’è un detto siriano che sintetizza il potere smisurato dato da Hafez ai servizi segreti: “In Siria ci sono più agenti dei servizi segreti che siriani”. Bashar ha mantenuto l’abitudine del padre: repressione sempre e comunque. Prima che scoppiasse la rivolta quattro anni fa, le carceri siriane, una delle più dure era a Palmira, erano zeppe di oppositori politici o semplici cittadini che loro malgrado erano stati prelevati dagli shabia, i fantasmi, cioè uomini semplici assoldati dal regime per terrorizzare la gente. “Vivevamo nel terrore di venire presi di mira da questi mostri cresciuti dal regime che con qualsiasi scusa ti faceva sbattere in carcere dove saresti stato torturato e spesso ucciso”, mi hanno detto tutti i siriani fuggiti in Turchia che ho intervistato. Un altro siriano, di cui non rivelo il nome perché ha ancora parenti in Siria, da anni rifugiato a Oslo, ha sperimentato le prigioni del regime: “Sono stato torturato per un anno intero.
Mi hanno anche sodomizzato con un bastone accusandomi di cospirazione ed eversione. Io ero davvero un oppositore, ma tanti altri in carcere con me non lo erano, eppure erano lì a subire lo stesso trattamento. Sono uscito dopo l’amnistia e sono fuggito perché prima o poi avrebbero trovato il modo di incarcerarmi nuovamente”. Il terrore puro lo conobbero in massa i musulmani sunniti della Fratellanza musulmana nel 1982. Anche Hafez, come Bashar, ha sempre potuto contare su un fratello, Rifa’at, che faceva il lavoro sporco per lui. Fu proprio Rifa’at al Assad a pianificare e attuare la brutale repressione dei Fratelli musulmani nella città di Hama che costò la vita a migliaia di civili che avevano la sola colpa di vivere lì. Dati ufficiali sul numero delle vittime non ce ne sono, ma si stima che furono uccisi a colpi di mortaio ed esecuzioni sommarie circa 30 mila persone in pochi giorni. Donne e bambini compresi. Proprio ad Hama, non a caso, è iniziato l’attuale conflitto civile. Dopo essere stato esiliato in Francia trent’anni fa per un tentativo di colpo di Stato contro il fratello, Rifa’at, 78 anni, dall’aprile di quest’anno sarebbe indagato dai magistrati francesi per corruzione. Secondo la magistratura avrebbe ammassato ben 64 milioni di dollari nelle banche del Lussemburgo. È noto che fu invitato a stabilirsi in Francia dal presidente Mitterrand, ma da qualche anno preferisce vivere nel suo lussuoso appartamento nel cuore di Londra. Un ennesimo episodio che mostra il clima di paranoia, sospetti incrociati e brama di potere in cui da sempre vive la famiglia attualmente più sanguinaria del Medio Oriente, è la morte di Assef Shawkat. Era il marito diBushra, l’unica sorella di Bashar, colui che stava per essere ucciso da Maher, diventato capo dell’intelligence militare dopo aver diretto con lo zio Rifa’at la Compagnia di Difesa paramilitare, responsabile del massacro di Hama.
Una dinasty tra Servizi e pacchi bomba
Secondo l’ex generale dell’esercito Manuf Tlass, riparato anche lui a Parigi e scampato a un pacco bomba, l’attentato dinamitardo contro il palazzo dei Servizi a Damasco nel 2012, che costò la vita a Shawkat, non fu opera dei ribelli ma di Bashar e Maher che temevano una cospirazione del cognato favorevole a instaurare un dialogo con le fazioni ribelli moderate. Mentre le mogli di Bashar e Maher con i figli vivono ancora a Damasco, la madre e la sorella sono state segnalate negli Emirati Arabi, cioè a casa dei principali nemici della dinastia. Majd Jadaan, la sorella della moglie di Maher, è fuggita in Canada. In un’intervista ha spiegato che la violenza si respirava ovunque in casa Assad e un giorno il presidente la minacciò con un coltello per aver osato contraddirlo.