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 2015  novembre 20 Venerdì calendario

Alfio Marchini fa sapere che si candiderà a sindaco di Roma anche senza l’appoggio di Berlusconi, Salvini e Meloni

«Per noi non cambia niente, andiamo avanti. Se c’è qualcuno che vuole rinchiudersi nei vecchi fortini di partito, che a Roma hanno già miseramente fallito, facciano pure. Il nostro programma, che è quello di coinvolgere e valorizzare le energie migliori di questa città, non muta di una virgola».
Rinchiuso nel quartier generale di Torre Argentina, nel palazzo umbertino che affaccia sull’area sacra dove venne pugnalato Cesare, Alfio Marchini fissa gli uomini del suo staff senza muovere un solo muscolo. Quel “qualcuno”, per l’imprenditore che per la seconda volta in tre anni intende mettersi alla testa di un movimento civico trasversale e privo d’insegne per sfidare la politica tradizionale e farsi eleggere sindaco, sono i leader del centrodestra: Berlusconi, Salvini e la Meloni, che mercoledì sera, a cena a Palazzo Grazioli, hanno deciso che non sarà lui a rappresentarli nella corsa per il Campidoglio.
La notizia, in fondo, non lo ha sorpreso. E neppure più tanto allarmato. Ai suoi l’aveva ripetuto anche in passato: «Sono grato a chi ha avuto apprezzamenti per me. Anzi, lo sono doppiamente proprio perché non richiesto, ma dobbiamo marcare una discontinuità con chi ha contribuito ad affossare questa città». Lui, come aveva promesso, è restato dov’era e dov’è sempre stato. Al centro: per tagliare le ali ai competitor e volare dritto alla guida dell’Urbe. Lo aveva detto ieri e lo ripete oggi: «Non mi sposto di un millimetro, non cambio e non contratto posizioni, non sarò mai ospite nelle liste di destra o di sinistra». Sono gli altri, semmai, a doversi adeguare. «I fatti hanno dimostrato», dice, «che a Roma c’è un progetto civico che è sopravvissuto al crollo dei partiti. Alemanno è stato un disastro, Marino se è possibile peggio, noi e i Cinque Stelle siamo ancora lì, sempre dalla parte dei cittadini a cui abbiamo provato a dare risposte concrete, pur dall’opposizione. Se i nostri sfidanti vogliono riproporre schemi anacronistici, si accomodino e auguri». Berlusconi, ma pure Renzi, col quale si sono a lungo annusati ma mai davvero piaciuti.
«Dopo le ultime elezioni e il tragico epilogo della giunta pd, un ciclo si è chiuso», argomenta Marchini. «La politica, se non vuole essere annientata dal populismo, deve dare una risposta straordinaria a una situazione straordinariamente drammatica». E siccome però «non esistono uomini della provvidenza, né movimenti o partiti che da soli siano in grado di dare soluzione al dissesto economico, sociale e culturale della capitale – a cui, dopo i fatti di Parigi, si è aggiunta la paura – occorre mettere in campo una proposta di governo che chiami a raccolta i migliori 300, donne e uomini, di cui Roma dispone per risollevarla».
Una squadra, dunque. Schema che in qualche modo riecheggia quello avanzato da Francesco Rutelli, che il 28 novembre chiamerà a raccolta le personalità più illustri della città per formulare un progetto di rilancio e sviluppo. «Una manifestazione alla quale parteciperò senza esitazioni», spiega l’uomo che fino ieri sembrava il candidato del centrodestra, «chiunque abbia a cuore questa città sarà nostro alleato». Perché è inutile girarci intorno: «Ormai siamo in guerra, Roma è nel mirino dell’Is e ognuno può e deve fare qualcosa. Anche il Campidoglio. Azionando quegli interventi concreti che diano sicurezza ai cittadini. A partire dall’illuminazione delle strade, troppo spesso buie. E pericolose». Solo buona amministrazione. «Quella che a Roma, finora, è mancata».