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 2015  novembre 20 Venerdì calendario

Maria Giulia, Sally e le sedicenni austriache. La triste trasformazione delle donne che diventano terroriste

Quando i vicini di casa di Sally l’hanno vista non potevano crederci. Era lì, davanti a loro, al telegiornale della sera in un video diffuso dalla polizia. Un chador nero integrale, indice alzato e un ancora più minaccioso Kalasnikov Ak-47 nell’altra mano. Le donne occidentali diventate jihadiste fanno impressione. Le vedi nelle fotografie di un prima e di un irriconoscibile dopo. Cosa succeda in mezzo non si riesce neppure a immaginare. La conversione all’estremismo le trasforma dentro e fuori. Invasate, restano di loro solo i tratti somatici, un paio di occhi azzurri che spiccano, poi il nero attorno. Tutto attorno. Certo non c’era più niente di quella Sally Jones di 45 anni, amante dei gatti e delle streghe che abitava a Chatham, nel Kent. Lei che negli anni Novanta aveva creduto di avere la passione per il rock e con le amiche aveva la sua band, le Krunch. Poi, qualcosa deve essere cambiato davvero perché Sally si è accartocciata in Sakinah Hussain, sposa di quel Abu Hussein di 20 anni che inneggiava alla jihad. Un incontro fatale. La conversione è totale e non ammette sconti. Lo sposa e parte per la Siria. In Inghilterra lascia tutto. Anche i suoi due bambini. C’è spazio solo per l’odio. Gira video da Raqqa, in cui promette anche a quei vicini che le innaffiavano i fiori di «non vedere l’ora di far saltare teste di cristiani. Sgozzarvi tutti con coltelli smussati». Sono tante, tantissime le occidentali come la «foreign fighter» italiana Maria Giulia Sergio, convertita all’Islam da Inzago, nel milanese, per arruolarsi in Siria. Le chiamano le Mulan dell’Islam. Donne guerriere esaltate, pronte a snaturarsi. C’è Samantha Lewthwait, inglese diventata kamikaze. C’è una sua foto di quando era al college, la divisa, a modo e per bene, una giovane qualunque. È diventata «la vedova bianca» di uno dei kamikaze degli attentati di Londra 2005. Lei è passata da Amnesty alla guerra santa in Kenya. Nel settembre 2012, Samantha progetta l’attentato a colpi di bombe a mano contro un hotel di Mombasa, costato la vita a tre persone che guardavano gli Europei di calcio. Per Sabina e Sarma invece la storia è dal finale ancora più triste. Le chiamavano le baby-jihadiste. Due ragazzine di 15 e 16 anni, appena. Bambine che sognavano il lato romantico della guerra, con la voglia di fuggire da genitori apprensivi, evadere, lontano da Vienna dove erano nate e cresciute con quella libertà di cui non sapevano più che farsene. Da amiche del cuore si erano esaltate a vicenda, si erano convinte che sarebbe stato fighissimo, eccitantissimo. Una lettera fotocopia ai genitori per dire addio: «Combatteremo per l’islam, ci rivedremo in paradiso». Pochi mesi dopo il disperato tentativo di tornare a casa. Si erano pentite. «Aiutateci». Girano foto di loro con chador neri e lunghissimi. Facce tristi e sorrisi spenti. É tardi e indietro non si torna. «Impossibile» per Vienna rientrare. Bambine sprovvedute entrate in un gioco più grande di loro. Sabina intanto- dice l’Onu- sarebbe sta uccisa in un bombardamento.
Aminat si trasforma da sposa felice a terrorista convinta. Russa, aveva 29 anni. Pensava di essere sposa e madre felice. Ci ha pensato il cognato a farle cambiare idea. In un attimo la vita occidentale era roba del passato. Si è fatta saltare con una cintura piena di bulloni ed esplosivo.