il Giornale, 20 novembre 2015
Isis, Is, Daesh. Ma anche Isil, Sid e Nins. Tutti i nomi dello Stato Islamico
Non esistono più i nemici di una volta. Per dire: i nazisti o i comunisti. Un bel nome definito, da scolpire nel marmo dell’odio e del disprezzo, da pronunciare trattenendo il fiato. Ora invece chi ci uccide e ci minaccia, come si chiama? Is, Isis o Daesh? Sono la stessa cosa o sono cose diverse? Abbiamo o no il diritto di saperlo? La questione non è di lana caprina. Dare il nome alle cose è il primo passo per identificarle e conoscerle. E conoscerle serve quindi, magari, combatterle. Il fatto che i terroristi islamici cambino ragione sociale in continuazione come fossero una pizzeria di quartiere o una ditta ci spiazza e ci smarrisce, non ci dà punti di riferimento, rende tutto più oscuro, più minaccioso.
Facciamo chiarezza. La nuova definizione con cui stiamo appena prendendo confidenza è Daesh. L’hanno usata il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian all’indomani degli assalti di Parigi, lo stesso presidente francese François Hollande, il segretario di stato Usa John Kerry, perfino il presidente americano Barack Obama. Tutti si riferivano a quella entità che fino a ieri eravamo abituati a chiamare Isis. Anche Daesh è una sigla: riassume in una parola spendibile nei titoli (e con qualche aggiustamento nella traduzione e nella traslitterazione) la formula araba al Dawla al Islamiya fi al Iraq wa al Sham. Che vuol dire «Stato islamico dell’Irak e del Levante», locuzione quest’ultima che si ricollega al toponimo che veniva usato un tempo per indicare quella regione chiamata anche grande Siria e che comprende il Sud Est della Turchia, la Siria, la Giordania, la palestina, Israele e il Libano. Un retaggio coloniale che contiene peraltro un ulteriore sfregio per l’islam in arme.
Non molto diverso da Isis, sigla questa volta inglese della locuzione «Stato islamico dell’Irak e della Siria». e allora perché Daesh? Per due ragioni: perché adottare una sigla di una frase in arabo rende meno «agibile» il concetto di Stato islamico, un po’ come prendere le distanze da una definizione che, in quanto tale, può sembrare una legittimazione. E poi perché Daesh ha un suono che, per gli arabi, richiama il concetto di distruzione, calpestìo, sbattere contro qualcosa. Un po’ come chiamare qualcosa «Crash». E si sa, dare un brutto nome a qualcosa è già quasi come condannarla alla «damnatio memoriae». Non è un caso che, come ha riferito l’Associated Press, a Mosul, città siriana controllata dall’Isis (o comunque vogliamo chiamare i simpatici seguaci del Califfo) alcuni miliziani avrebbero minacciato di tagliare la lingua a quanti usino la parola Daesh in riferimento allo Stato islamico.
Adotteremo anche noi in Italia questo disprezzo onomastico? Ci proveremo, forse. Ma con un po’ di rammarico. Si sa, noi siamo abitudinari. C’eravamo appena abituati all’Isis, e alcuni di noi già si sgomentano quando sui giornali leggiamo la sigla accorciata Is, quella in cui scompare ogni riferimento geografico. Sigla peraltro prediletta dai tagliagole, che vedono così esaltato l’aspetto istituzionale della loro esistenza.
A complicare tutto esistono poi altre sigle. Ad esempio Isil, usata da molti giornali americani, che altro non è che la traduzione inglese di «Stato islamico dell’Irak e del Levante». Poi c’è Sid: Stato islamico del Califfato, scelto in alcune occasione dai jihadisti per definirsi. E poi ecco comparire Nins, una sigla acronimo di «Not Islamic not State» (traduzione: non-Stato-non-islamico»), scelta negazionista fatta da Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, che per la verità non ha conosciuto alcuna fortuna. Anzi, ha finito per generare ulteriore confusione.