la Repubblica, 20 novembre 2015
Due giornalisti di Repubblica sono andati in giro per Milano con kefiah e niqab. Hanno ricevuto in cambio insulti e minacce
«Con tutto quello che è appena successo, guarda come vanno in giro. State al vostro Paese, se volete conciarvi in quel modo». Sul marciapiede di via Tommaso Grossi, a metà strada tra piazza Cordusio e la Galleria Vittorio Emanuele, lo sciame di turisti dello shopping del centro non ha cittadinanza. E proprio per questo una donna interamente velata di nero e un uomo con una striscia di barba e un copricapo arabo passano ancora meno inosservati. Calamitano sguardi, irrigidiscono i volti, attirano i commenti. «Bastardi», sibila un tizio, che cammina in via Dante. Davanti alla Scala, gli agenti in borghese fermano la coppia e chiedono i documenti. In Galleria i passanti scappano e vanno dai vigili a chiedere di identificare «quei due, che hanno un’aria sospetta». Davanti a quella specie di burqa nero, i bambini in gita scolastica vengono allontanati dalla maestra prudente: «Andate avanti, non state a guardare». Un invito che ovviamente accende la curiosità degli scolari con gli occhi sbarrati che vengono sospinti un po’ più lontano, a distanza di sicurezza. «Sono tipo i kamikaze dell’Is», si danno di gomito gli studenti che stanno perdendo la mattina di lezione. Un brivido che evidentemente corre nella schiena di molti, in questa giornata in centro, vestiti come una coppia di mediorientali, lui col cappellino, lei col velo nero integrale sul volto.
L’anziana che li incrocia, ha il volto livido, gli occhi sgranati. «Siamo in Italia, e non ci si veste così!», impreca. Il Duomo è a trecento metri di distanza, per raggiungere la Scala sono altrettanti passi svoltato l’angolo a sinistra. Una signora al bancomat fa un salto appena scorge l’ombra nera che cammina alle sue spalle: «Oh madonnina», e fugge via tenendosi la borsa. All’angolo con via Filodrammatici il funzionario in borghese comunica via radio, gli occhi fissi sul potenziale pericolo: «Si stanno avvicinando, dietro ci sono due con le telecamere». Lo stesso succederà ore dopo, quando i due “sospetti” entrano in un supermercato di viale Piave, a Porta Venezia.
Non è un giorno come un altro a Milano, tra il Duomo e la Scala, i due obiettivi sensibili segnalati dall’Fbi all’intelligence italiana. La tensione è alta e si sente. Davanti a Palazzo Marino come al Castello Sforzesco, in metrò, in Galleria come al supermercato. Ci squadrano tutti, ci scansano in tanti, ci apostrofa qualcuno. Alle spalle, appena superati, mai in faccia. Facciamo paura, soprattutto alle persone anziane e ai bambini. A lanciare occhiate di disprezzo incrociando la coppia di origine islamica, sono i professionisti che corrono verso un appuntamento di lavoro, le signore che passeggiano verso l’aperitivo. Una ci taglia a fette con lo sguardo, come se fosse certa di vedere due kamikaze.
Il viaggio comincia dalla periferia del Corvetto, dove pure vedere un burqa non è esperienza così rara. Anche qui, in metropolitana, la signora avvicinata dal cronista barbuto, si ritrae. «Scusi, per Duomo è questa la direzione?». Neanche il tempo di dire sì che il marito la strattona via: «Ma lascia perdere, con questi qui». Sul vagone troviamo due posti a sedere dirimpettai. Pure quello alla destra della donna in nero è libero. E lo resterà.
La strana coppia attraversa la nuova area pedonale che da piazzale Cairoli porta al Castello. Passa fra i due grandi shopping center eretti per Expo – ora chiusi e in attesa di destinazione – mentre quattro agenti accanto a una camionetta la scansionano a distanza. Lo faranno anche, poco più tardi, due agenti di Polizia in giubbotto antiproiettile sul selciato all’angolo con Palazzo Marino.
In Galleria, l’epicentro della minaccia presunta, camminare con gli sguardi puntati addosso non è piacevole. «Guarda, quelli sono dell’Is», si sente dire.
I più giovani fanno gli spavaldi. Si avvicinano, puntano gli occhi addosso. Un po’ ridono, un po’ hanno paura davvero. E si allontanano di qualche metro, prima di dirsi fra di loro: «Adesso quella si fa esplodere, stai a vedere». Quando la coppia si ferma al centro della Galleria facendo finta di ammirare la grande volta appena restaurata, la folla che era pochi secondi prima sul posto a scattare selfie, si dirada.
La voce arriva da una fila di studenti delle medie in gita di classe. «Boom!», segue risolino accennato, la sghignazzata si stempera subito. In meno di un secondo gli sguardi che piovono sui due “arabi”racchiudono istruttoria, dibattimento e sentenza di condanna. È pieno di scolaresche in gita. Di turisti da ogni parte del mondo. Ma l’ombra di paura è la stessa negli occhi di tutti, adulti e ragazzini, uomini e donne. Una coppia di cinesi si ferma a scattare una foto, cercando di non farsi vedere. Un americano, butta lì un «shit» e se ne va arrabbiato. Anche in corso Vittorio Emanuele, fra le boutique e i bar di lusso, non ci sono altre persone in vestiti tradizionali dei paesi arabi. Solo pochi mesi fa, durante l’orgia turistica di Expo, era pieno di famiglie arrivate forse dal Golfo per lo shopping nel quadrilatero della moda. E nessuno guardava le signore intabarrate negli abiti neri. Ma nei giorni dopo la strage di Parigi, tutto è cambiato. Se in un inglese approssimativo chiediamo a chi cammina nel “Salotto buono” di Milano indicazioni per arrivare in Duomo, la risposta è uno sguardo scocciato, un silenzio, o al massimo poche parole infastidite. Una pensionata che camminava distratta, quando mette a fuoco l’immagine scura, fa un salto indietro: e scappa. I passanti tirano dritto, come se nemmeno avessero sentito. In compenso i venditori arabi di cartoline, salutano con deferenza: «Salam aleikum» e si stupiscono di non ricevere risposta.