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 2015  novembre 19 Giovedì calendario

Le quattro vite di Lino Banfi

Il titolo del suo prossimo libro, edito da Mondadori, già dice tutto: Ottanta...voglia di piacermi. E non ci starebbe male, a chiudere, un bel «porca puttena», il tormentone più richiesto dell’autore. Lino Banfi, nato ad Andria nel 1936, ma cresciuto tra i campi a Canosa di Puglia, ex-reuccio del cinema sexy all’italiana, poi oggetto di stracult, infine idolo per tutti, grandi e piccini, nel ruolo di Nonno Libero di Un medico in famiglia, i fatidici 80 li compie il prossimo 9 luglio e in tasca, assieme alle medagliette di padre Pio, ha molti progetti. Prima di tutto quello, appunto, di accettarsi. «Sono trent’anni almeno che non mi piaccio più, decenni che non mi rivedo volentieri nei film, in tv e nelle fotografie, le diete le ho provate tutte, senza alcun successo, i chili li riprendo con gli interessi, tanto vale rassegnarsi: se questo faccione dà fiducia alla gente, un motivo ci sarà. “Sono o no l’ambasciatore della Puglia?” Ho detto al governatore Michele Emiliano, chiedendo il suo avvallo. E ho depositato il marchio Bontà Banfi. Selezionerò dieci prodotti tipici della mia regione e sopra ci sarà la mia immagine e lo slogan “Io ci metto la faccia, la Puglia il resto”, cosi la gente saprà che mangia sano. I proventi andranno all’Unicef e alla mia onlus».
Lino, all’anagrafe Pasquale Zagaria, si racconta così in un ristorante di Bari mentre con le manone spazza via i venerati ricci di mare assoggettandosi ai selfie dei fan muniti di manifesto dell’indimenticato L’allenatore nel pallone. «In un altro locale qui vicino» gli dico «pare che Checco Zalone si sia gettato in ginocchio al grido di “Maestro”...». «È tutto vero» conferma Lino «lui e Gennaro Nunziante, il suo regista, si definiscono dei Banficultori». Ne è nata una solida amicizia tra corregionali che darà i suoi frutti nel prossimo film del re nostrano del box office Quo vado, atteso come la manna nei cinema il primo gennaio. «Sarò un senatore pronto a cavalcare il centrosinistra e il centrodestra, un vero trasformista, quel tipo italiano che da noi non ha mai smesso di essere di moda». Di più non svela, ma la coppia Zalone-Banfi è di quelle attese da tempo, quasi predestinate. Per entrambi la chiave del successo sta nella reinvenzione linguistica e nel grammelot pugliese. «Ma prima di me non c’era una scuola locale» ci tiene a precisare Banfi, «mi sono dovuto inventare tutto». L’uomo viene dalla gavetta nei localacci di avanspettacolo, primo nome d’arte Zaga, figlio di padre contadino. Un «serataro» temprato dalle misere tournée, dopo aver schivato il seminario cui l’aveva destinato la famiglia, uno che conosce i trucchi e i rischi del mestiere: «non si andava mai a dormire nell’albergo proposto da chi ti ingaggiava, perchè la paga che ti davano te la rubava in stanza la notte stessa qualche delinquente ben informato. E i mandanti erano gli impresari». Insomma una vitaccia dura, nell’anominato, finchè un giorno non è arrivato a Roma, al Puf, il locale di Lando Fiorini: «mentre salivo sul palchetto ho capito che dovevo distinguermi, tirarmi fuori dal mucchio, inventare qualcosa.
Ho improvvisato i primi “Porca puttena”, “ecchecchevolo”, lo svarione sul dialetto in chiave spagnoleggiante, con quel ritmo imparato dai tour in Sudamerica con Franco Franchi. È venuta giù la sala ed è cambiata la mia vita».
Diventato Lino Banfi perché Totò gli sconsigliò Zaga («il diminutivo del cognome porta male»), anche nella fame non è però mai stato solo. Il suo è un vero record, 64 anni con la stessa moglie, Lucia, dieci di fidanzamento ancora adolescenti, una «fuitina» e il resto matrimonio: lei a fare la sarta per svoltare la spesa, lui alla rincorsa del successo. «E soprattutto rincorso dai cravattari, andavamo a prestito a strozzo, per 200 mila lire ho dovuto restituire anche 2 milioni a quei tempi». Non si vergogna a dirlo, la sua è la storia vera di un artista semplice, con la fede e i santini di padre Pio sempre saldi al loro posto. «Non ho mai fatto pasticci, non ho avuto capricci, oltre al lavoro e alla famiglia. E pensi alle tentazioni durante l’epopea dei film sexy! Sul set mi ritrovavo davanti il nudo di Nadia Cassini e Gloria Guida, le tette gloriose di Edwige Fenech. Per fortuna i ciak erano pochi, si girava con poco, altrimenti sarebbe stato un guaio. Mia moglie si teneva lontana, solo una volta è venuta sul set, ma era troppo imbarazzante per me e per lei».
Correvano gli anni ’70 e Banfi trionfava in Cornetti alla crema, Vieni avanti cretino, Occhio malocchio prezzemolo e finocchio, in un nugolo di supplenti, ripetenti, liceali e infermiere. Con quei film, dov’era «arrapeto» quanto imbranato, è diventato un mito, talmente popolare da poter raccontare di quella volta che il primario che aveva operato sua mamma lo chiuse nell’ufficio: «Vergine Incoroneta, ho pensato, chissà che brutte notizie mi vuol dare e invece il professorone si buttò ai miei piedi, delirava: “Voglio baciare la mano che ha toccato il culo della Cassini!”. Avevo affidato la salute di mia madre a un pazzo».
La carriera dell’attore pugliese sarebbe finita forse nell’oblio dei tanti Pierini del nostro cinema se, nel 1998, non fosse risorto come Nonno Libero, icona rassicurante del patriarca di famiglia allargata, ex-resistente con l’Unità in tasca, almeno nelle prime stagioni. A Libero, Banfi deve la sua rinascita e la popolarità vera, quella che scavalca le generazioni, anzi le unisce. E nessuno saprà mai quanto sia costato leggere, anche solo in scena, il quotidiano comunista a uno come lui che non ha mai nascosto la simpatia per Silvio Berlusconi, oggi sostituita da una certa ammirazione per Matteo Renzi. «I due si assomigliano» taglia corto Banfi. Alla fine però l’ha spuntata il nostro eroe di Andria, perché nella decima stagione della fiction che andrà in onda a gennaio scoprirà la fede. «Le avvisaglie c’erano già nella nona edizione, quattro chiacchiere con la statua di san Nicola. Ma stavolta per il mio personaggio sarà una vera e propria rinascita in Dio». Una soddisfazione per l’attore che ci rivela la sua amicizia con il Papa emerito Joseph Ratzinger. «Il primo contatto è stato a sorpresa, eravamo in Spagna alla Giornata mondiale della famiglia e alla fine del suo discorso Ratzinger davanti alla folla citò come esempio di unione Nonno Libero. Così chiesi a padre Georg se il Papa vedesse Un medico in famiglia e lui mi rispose che stava incollato al televisore a ogni puntata. Ho chiesto di incontrarlo privatamente e un giorno, quando Ratzinger già si era dimesso, mi hanno chiamato. Io non ci speravo più: ‘Ma come, un Papa conoscevo ed è l’unico che se ne è andato?’. Invece l’ho potuto incontrare da solo per 50 minuti, abbiamo parlato di tutto. Ho avuto anche il coraggio di chiedergli perché si fosse dimesso. Mi ha risposto con semplicità: “Non potevo più portare questo peso”. Mi piacerebbe tanto che anche Francesco, adesso, conoscesse questo mio faccione».
Il successo gli ha permesso di togliersi qualche soddisfazione e onorare parecchi debiti, non solo in denaro. «Molte delle mie invenzioni linguistiche vengono dall’ascolto dei miei concittadini. Le racconto una cosa cui tengo molto: per tutta la vita ho visto mio padre togliersi il cappello davanti a tutti, salutando e omaggiando le personalità in vista del paese. Una sera, già famoso, ho organizzato una serata-spettacolo in suo onore e gli ho raccomandato: “Vieni senza cappello, stasera sono gli altri che devono levarselo davanti a te”. E lui, poveretto, in prima fila ha passato il tempo a portarsi la mano in testa, cercava il cappello, ma non ce l’aveva. L’abitudine era più forte di lui. Lo sbirciavo dal palco, mi commuoveva quella sua ingenuità, e allo stesso tempo capivo che lo stavo risarcendo di tutte le volte che si era dovuto inchinare».
Per Pasquale Zagaria, detto Zaga, in arte Lino Banfi, l’aneddoto potrebbe vale quanto una breve autobiografia.