Il Sole 24 Ore, 19 novembre 2015
Dopo nove anni, la Fed sta per alzare i tassi d’interesse. Appuntamento al 15 dicembre
I verbali dell’ultimo vertice e le dichiarazioni rassicuranti sull’economia rilasciate da esponenti di primo piano della Federal Reserve hanno rivelato che la Banca centrale americana è davvero alla vigilia di un rialzo dei tassi d’interesse, con gli occhi puntati sulla riunione del 15 e 16 dicembre. Una decisione, in assenza di imprevisti shock la prima mossa restrittiva da nove anni, che i future sui fed funds anticipano adesso con il 72% di probabilità rispetto al 64% di martedì e al 5,7% di un mese fa. E che sembra essere anche nelle carte dei mercati, rimasti imperterriti: Borsa in rialzo, bond e dollaro poco cambiati.
La discussione al vertice di fine ottobre ha mostrato come la maggioranza in seno alla Fed ritenga che «la condizione per una stretta potrebbe certamente esistere entro la prossima riunione». E come tra molti partecipanti serpeggi il crescente timore che ritardi in una manovra restrittiva, oltretutto definita assai «graduale», possano semmai aggravare l’incertezza sui mercati e la sfiducia nella ripresa.
Il vento a favore di una stretta monetaria si è respirato anche nelle prese di posizione da parte di influenti banchieri centrali, nonostante i dubbi della stessa Fed sul ridimensionato potenziale di crescita di lungo periodo e gli ostacoli tuttora opposti all’espansione in atto da un’economia globale fragile e alle prese con incognite geopolitiche e di terrorismo.
Jeffery Lacker, il falco anti-inflazione della sede di Richmond, è partito all’attacco: ha affermato ieri che un rialzo dei tassi deve avvenire al più presto e che non ci sono ragioni per ulteriori rinvii. Gli attentati terroristici di Parigi, ha precisato, possono avere sull’economia e sui mercati soltanto «un effetto temporaneo, come già avvenuto altre volte in simili casi».
Il mercato del lavoro, a suo avviso, riflette ormai un clima di piena occupazione senza residue sacche di debolezza, i consumi sono robusti e i prezzi sono destinati ad avviarsi verso il target ideale del 2 per cento. Lacker era stato l’unico a dissentire apertamente sia durante il vertice di ottobre che di settembre della Banca centrale al momento del voto sui tassi, invocando interventi già in quelle occasioni.
Ieri non è stato il solo a scendere in campo. Loretta Mester, di Cleveland, ha dichiarato che l’economia è forte a sufficienza per reggere senza problemi l’avvio di una stretta, sopratutto se modesta. Mester avrà diritto di voto in seno alla Fed da gennaio. Il suo giudizio è stato condiviso dal moderato Dennis Lockhart di Atlanta, che invece voterà all’appuntamento di metà dicembre e ha aggiunto di vedere per la ripresa una «solida traettoria» e di essere «ragionevolmente soddisfatto» di come i mercati internazionali – una delle più recenti ragioni dell’attendismo della Fed – si siano calmati dopo le scosse di agosto. L’inflazione, che al contrario dell’occupazione continua a deludere, non ha «subito deterioramenti». E in questo clima, ha concluso, «sarà presto appropriato cominciare una nuova fase di politica monetaria», cioè «abbandonare tassi a zero».
Anche un esponente molto vicino al presidente Janet Yellen, William Dudley della sede di New York, ha indicato che oggi una stretta «non provocherebbe significative sorprese» sui mercati perché è stata telegrafata. L’eventuale rialzo dei tassi, ha inoltre sottolineato, «sarà un fatto positivo, non negativo», perché «segno di un’economia che torna in salute». Dudley ha poi proseguito parlando d’altro. Ha affrontato il tema della regolamentazione bancaria: sono stati fatti passi avanti, ha affermato, per disinnescare la mina delle istituzioni finanziarie considerate troppo grandi per fallire ma il cammino di riforma resta incompiuto. Come dire: forse tutti alla Fed sono stanchi di discutere dei tassi e sono pronti ad agire.