il Giornale, 19 novembre 2015
Gli anni delle groupies, che Jimi Hendrix chiamava le sue Electric Ladies
Jimi Hendrix le chiamava le sue Electric Ladies. Ragazze elettriche come la sua chitarra. Ragazze senza freni, non sempre belle ma alla fine bellissime, esagerate, truccate e acconciate e abbigliate come se fossero sempre pronte a salire sul palco. Come se lo show fossero loro, le groupie, le star al fianco delle stelle del rock. Gli anni sono i Sessanta, la parola groupie per la verità non esisteva ancora. Però loro sì, le ragazze elettriche che volevano a tutti i costi stare accanto a (e possibilmente anche nel letto di) Hendrix, Mick Jagger, Frank Zappa, Jim Morrison. Volevano toccare i loro sogni, entrare nel loro mondo e non si facevano problemi a chiedere, non si facevano scrupoli a ostentare la loro sessualità, la loro voglia di trasgressione, a volte perfino la loro facilità.Baron Wolman le incontrava sempre. Le conosceva per nome, Pamela Ann, Catherine, Trixie, Lacy, Sally, Miss Harlow, le GTO, la «band» di ragazze che ruotava intorno a Frank Zappa, Cynthia e Dianne (Plaster Caster, il duo specializzato nel calco delle parti intime dei cantanti). Wolman era il fotografo di Rolling Stone: era appena arrivato a San Francisco quando la rivista stava per nascere, e gli chiesero di scattare foto alle rockstar. Seguirle, frequentarle. Lo fece per tre anni (fino all’arrivo di Annie Leibovitz), un periodo trascorso fianco a fianco dei protagonisti del mondo del rock, di Woodstock, della cultura hippie e anche a fianco delle giovani che li seguivano.Ne fu affascinato. Raccolse tanto materiale da realizzare un numero speciale, che uscì il 15 febbraio 1969 e si intitolava The Groupies and Other Girls: un successo clamoroso. La rivista spese settemila dollari per una pagina intera di pubblicità sul New York Times, il cui slogan era: «Se vi raccontiamo che cosa sia una groupie, capirete davvero?». Di sicuro, tutti capirono che era nata una parola nuova: groupie, appunto. Da lì in poi, un’etichetta che non si cancellerà mai più. «La parola con la G» come è stata definita, a posteriori, molti film e libri e gossip dopo. Perfino rinnegata da molte delle protagoniste, delle groupie insomma, che in qualche modo si sentirono «bollate». Non dalle fotografie di Wolman, quelle le resero delle celebrità. Ed era proprio quello l’obiettivo del fotografo: fare capire che erano (anche) loro, le vere rockstar; che non erano soltanto appostate nel backstage per rimorchiare ma esprimevano «una sottocultura» ed erano, a loro modo, icone di stile. Nel senso di moda e nel senso di atteggiamento, attitude.Ora quelle ragazze elettriche e un po’ scostumate sono tornate, quarantacinque anni dopo, nelle librerie. Le loro fotografie oggi sono immagini d’epoca da tenere in salotto. Sono finite in un volume che si intitola Groupies and Other Electric Ladies (pubblicato da Acc Editions, costa 40 sterline, 48 euro) che riproduce le fotografie originali di Baron Wolman per lo speciale, più numerosi altri scatti che non trovarono spazio, allora, su Rolling Stone, oltre a una serie di testi del passato e di oggi. È la celebrazione di un successo iniziato quasi mezzo secolo fa: da allora, anche grazie a quel numero speciale, le groupie hanno conquistato il loro posto nel mondo dello showbiz. Anche se non per forza sono state amate da tutti, e specialmente da tutte: Pamela Ann Miller (oggi Pamela Des Barres), l’autrice del bestseller I’m with the Band: Confessions of a Groupie, che con la sua vita ha anche ispirato il film di Cameron Crowe Almost famous, «quasi famosi» (in cui lei è il personaggio di Penny Lane, interpretato da Kate Hudson) ha raccontato al New York Times che le critiche, all’epoca, «arrivavano soprattutto dalle altre donne». Femministe, magari, che le vedevano come delle «prostitute sottomesse». «Ma ero una donna che faceva quello che voleva: e questo non è femminista?». In ogni caso, oggi anche la loro trasgressione è finita su carta patinata...