Origami, 19 novembre 2015
Tutti i danni dell’Oms
L’ultimo pasticcio è stata la gestione dell’emergenza Ebola, forse costato la vita a qualche centinaia di persone. Prima ancora c’è stato lo scivolone, per i maligni intenzionale, sull’influenza suina, quella pandemia fantasma che ha spinto molti paesi ad acquistare inutilmente svariate dosi di vaccini. Sembra esserci qualcosa di «sporco», o quanto meno poco chiaro, in quella che è considerata la «coscienza della sanità mondiale». L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sta progressivamente perdendo di credibilità. Non stupisce quindi la diffidenza collettiva, a torto o a ragione, suscitata dalle sue ultime raccomandazioni sulla carne rossa e lavorata, inserite a vario titolo nella lista delle sostanze cancerogene. E neanche la polemica, prematura più che mai, sollevata dal semplice annuncio di una prossima risoluzione sul caffè e sul tè. Pregiudizi, questi, che poco si addicono a chi dovrebbe rappresentare il custode della salute pubblica globale. «Così tanta diffidenza ha origini storiche ed economiche», spiega Eduardo Missoni, esperto di strategie globali per la salute dell’Università Bocconi di Milano. «L’Oms è stata progressivamente indebolita dall’avvento di nuovi attori, e dal contestuale abbandono da parte dei suoi soci, cioè i 193 paesi membri», spiega Missoni. Il periodo buio è iniziato nel 1985, quando gli Stati Uniti hanno congelato il proprio contributo, in quanto la strategia dell’Oms sui farmaci stava riducendo troppo la lista di quelli considerati essenziali e andava contro l’interesse dei colossi farmaceutici. A seguire l’esempio del principale contributore dell’organizzazione, sono stati anche gli altri paesi, anch’essi probabilmente messi sotto pressione da attori esterni. «È così che l’Oms è stata costretta a concedersi ad organizzazioni alternative, come la Bill e Melinda Gates Foundation, perdendo la capacità di essere il punto di riferimento sulle priorità di salute pubblica mondiale», dice Missoni. La forte necessità di reperire finanziamenti in grado di garantire la sua sopravvivenza, ha portato la più importante organizzazione delle Nazioni Uniti a scendere a compromessi e a negoziare l’agenda delle priorità. «La perdita di controllo sui propri bilanci – conferma spiega Nicoletta Dentico, una delle autrici del rapporto dell’Osservatorio italiano sulla Salute Globale dedicato proprio all’Oms – è piuttosto evidente: l’80% delle risorse realmente disponibili all’agenzia provengono da contributi volontari, mentre la proporzione dei contributi obbligatori rappresenta a malapena il 20% di tutto il budget». In pratica, l’aver accettato donazioni volontarie, sia dagli stati soci che da organizzazioni private, ha costretto l’Oms a dare priorità ad alcune situazioni piuttosto che ad altre. Non è un caso l’enorme sproporzione di fondi e sforzi destinati maggiormente alla lotta alle malattie trasmissibili, rispetto a quelli investiti nelle più diffuse malattie croniche. Insomma ci si occupa più di malattie neglette, a diffusione molto limitata, che di diabete. «Questo probabilmente perché ai donatori volontari conviene più che l’Oms si occupi di vaccini che di influenzare le politiche sulla commercializzazione degli alimenti», ipotizza Missoni. Questo non significa che l’Oms debba abdicare e rinunciare alla sua mission. «Bisogna piuttosto salvarla», sottolinea Missioni.
Lo si sta cercando di fare con l’attuale processo di riforma. «Ma finché gli stati membri si opporranno a un aumento dei contributi obbligatori e cercheranno di interferire sulle priorità dell’organizzazione, l’Oms non sarà in grado di riprendere in mano il suo ruolo di massima autorità nella sanità mondiale», conclude Missoni.