Origami, 19 novembre 2015
La scienza ci salverà. Conversazione con Elena Cattaneo
«La scienza è solo un metodo, non è mai fondamentalista e non lo potrà mai essere perché si mette continuamente in discussione. Anzi, bisogna dirlo con estrema chiarezza, la scienza oggi è il vero antidoto ad ogni dogma e ad ogni deriva irrazionale e oscurantista». Quando Elena Cattaneo comincia a parlare di scienza, di politica e di opinione pubblica lo fa con una passione travolgente. Ha sposato la causa, ne ha fatto una ragione di vita, dopo anni passati nei laboratori italiani e americani a studiare le cellule staminali e le malattie neurologiche. A soli 39 anni ha ricevuto la medaglia d’oro dal presidente della Repubblica Ciampi per il valore dei suoi studi.
Nel 2013 Giorgio Napolitano, a sorpresa, l’ha nominata senatrice a vita. La sua missione ha cambiato direzione. Una donna scienziato tra i parlamentari nel momento in cui la politica e le Istituzioni venivano investite da un’ondata irrazionale chiamata Stamina. È stata la sua battaglia. Nessuno aveva gli strumenti per capire e questa donna tenace è diventata il punto di riferimento per la razionalità in Italia. Da allora non ha mai smesso, combatte a viso aperto le derive ideologiche e i pregiudizi. È la persona giusta di fronte a cui sedersi nel momento in cui ci interroghiamo su una scienza che sembra voler dettare i nostri comportamenti e l’agenda delle nostre vite.
Signora Cattaneo, perché negli ultimi tempi ogni proclama della scienza cade tra la gente come verità rivelata e ogni comportamento sociale cerca giustificazioni nella scienza, quasi fosse una fonte di legittimazione dogmatica?
«La cosa che ama di più uno scienziato è rovesciare un dogma, è completamente errato volerci attribuire vocazioni fondamentaliste. La scienza è una strategia per cercare la verità al meglio delle nostre possibilità. Parti con un’idea e il metodo ti dice se funziona o se è da buttare perché non può essere dimostrata. Non è fondamentalismo perché si mette continuamente in discussione e lo fa attraverso un metodo codificato. Nemmeno il mio risultato di oggi posso garantirlo per i millenni futuri, ma viene sempre migliorato e rifinito. Tutto è a disposizione della comunità scientifica mondiale che discute, fa emergere le lacune e vede se il dato è debole. E una strategia di lavoro che permette ogni volta di essere controllori e controllati. Tutto può essere messo in discussione ad un’unica condizione: che chiunque abbia qualcosa da dire lo faccia armato di fatti e prove. Nelle scienze le opinioni valgono zero!». Dice “zero”, poi si ferma, prende fiato e scuote la testa.
«Ma questa nostra Italia è il Paese delle opinioni, in cui le competenze vengono negate in nome di una mal interpretata idea di democrazia, e allora sostenere che i fatti valgono più delle opinioni è pericoloso e rivoluzionario. Il male è dilagante e io lo sento più forte in Italia perché qui le istituzioni politiche sono più deboli e meno preparate, il decisore è più in balia delle emozioni del pubblico. È accaduto molte volte».
Che cosa intende per competenze?
«Studio, verifica con se stessi e con gli altri, condivisione con il cittadino. Il caso Stamina è stata la cartina di tornasole attraverso la quale capire le debolezze dell’Italia: questa storia ha rappresentato il deragliamento di ogni deontologia. Persone chiamate a certe responsabilità sono venute meno e così facendo hanno messo bambini e malati con gravi patologie in mano a un gruppo di ciarlatani. Abbiamo assistito a un deragliamento istituzionale, giuridico e informativo. Si è vista la debolezza di quei pezzi di Italia che dovevano garantirci, una debolezza dovuta al fatto che su tanti temi la politica non studia, non si fornisce e non cerca gli strumenti utili a capire e decidere. Anche se il Paese ne sarebbe ricco: abbiamo i migliori immunologi e staminologi del mondo ma nessuno li ha mai chiamati e ascoltati».
Anche intorno agli OGM accade lo stesso fenomeno?
«Certo, non si guardano i fatti ma si fa un dibattito ideologico: assistiamo a cortocircuiti mediatici in cui la razionalità svanisce e appare difficile perfino ragionare e valutare le prove e gli studi A peggiorare la situazione c’è la diffidenza reciproca tra scienziati e politici, che dovrebbero invece lavorare insieme».
Perché le competenze non vengono riconosciute?
«I motivi sono molti: perché la comunità dei competenti ha fatto un passo indietro nella società, perché ha dimenticato il suo ruolo pubblico e che il suo primo committente è il cittadino. Ci sono poi i pregiudizi negativi sugli scienziati, spesso legati al linguaggio. Eppure mi sembra così chiaro che ci vorrebbe più metodo scientifico nella società, più competenze, più discussione sui fatti e più soggetti intorno al tavolo in cui si decide. Per me le parole chiave sono: metodo e competenze. I meccanismi di sperimentazione scientifica, i cosiddetti Trials, andrebbero applicati anche alle leggi per vedere se funzionano. Quanti errori e conseguenze negative si potrebbero evitare: in Italia ci vuole più scienza non meno».
E invece ci sono molti che al posto del medico ricorrono a Internet. Perché?
«La gente ci accusa di non essere abbastanza veloci e di fronte alle difficoltà e alle paure Internet diventa una scorciatoia Per disperazione ci si rifugia in una soluzione diversa, semplice e a portata di mano. Prenda i vaccini: com’è possibile che nel 2015 esistano persone istruite convinte che provochino l’autismo? Non ci sono prove di questo, anzi sono molte le dimostrazioni contrarie. E dovrebbero bastare i milioni di bambini salvati a parlare chiaro».
È la forza dell’irrazionale, lo dicevamo prima, più suggestiva di una dimostrazione razionale.
«Di fronte all’irrazionale spesso la ragione è impotente: ci sono due studi di psicologia cognitiva che spiegano in modo impressionante questo fenomeno. Il primo è dell’anno scorso ed è stato pubblicato sulla rivista Paediatrics. Hanno preso 2.000 famiglie, metà che faceva vaccinare i figli e metà che si rifiutava, hanno esposto a tutti la verità della scienza sui vaccini. Tutti hanno dimostrato di comprendere le prove scientifiche e hanno capito la differenza tra ciarlatani e competenti, ciononostante una metà delle famiglie ha continuato a non vaccinare i propri figli e addirittura si è convinta ancora di più delle ragioni del suo rifiuto. È la forza del pregiudizio che, sfidata, si rifugia in antiche certezze».
Quindi l’argomento scientifico non serve a contrastare un convincimento irrazionale nemmeno tra persone consapevoli?
«C’è un secondo studio, della rivista Pnas, dell’agosto scorso. Anche in questo caso sono coinvolte famiglie che non intendevano vaccinare i propri figli. Invece di fornire loro spiegazioni razionali, gli sono state mostrate fotografie di bambini ammalati di morbillo, rosolia e parotite: nessuna difesa razionale del vaccino, solo suggestioni emotive sui rischi che comporta non vaccinare i bambini. Dunque una comunicazione non razionale. E in questo caso la maggioranza dei genitori ha cambiato idea e fatto vaccinare i figli».
Da una parte la gente si fa prendere dall’emotività e trasforma informazioni scientifiche in dogmi di una nuova religione pagana; dall’altra la scienza fa di tutto per terrorizzare il pubblico: diktat su zucchero, carne, caffè... Come se ne esce?
«Bisogna evitare le semplificazioni. In molti casi si parla di livelli di rischio: questo non significa certezza di una malattia ma il rischio che un comportamento porti a una malattia. Le possibilità di ammalarsi dipendono da dosi o tempi di esposizione. Ma qui la responsabilità è anche dei mezzi di informazione che non amano le sfumature e i distinguo e preferiscono i titoli ad effetto. Le semplificazioni hanno il difetto di non restituire la complessità ma di voler ridurre tutto a uno slogan che finisce per togliere credibilità e trasformare la sostanza in emozione. Invece dobbiamo amare la complessità e avere la pazienza di spiegare e comprendere anche le sfumature. Questo ci salverà».