Chi, 19 novembre 2015
Marilyn e Jfk, una storia d’amore e di affari di stato
Il 22 novembre il mondo ricorda la morte di John Fitzgerald Kennedy, trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti, assassinato a Dallas, alle 12 e 30 di quel giorno del 1963. Aveva 46 anni, e, a distanza di tanto tempo, resta uno dei Presidenti più amati della storia americana.
Jack, o JFK, come molti lo chiamavano, apparteneva a una delle famiglie più ricche e potenti degli Stati Uniti. Era sposato con Jacqueline, affascinante giornalista appartenente a una famiglia dell’alta società newyorkese, e padre di due bambini. Era noto anche per le sue avventure galanti. Quella con l’attrice Marilyn Monroe fu una storia d’amore breve, ma, poiché riguardava il presidente degli Stati Uniti ed ebbe un finale drammatico, è entrata nella leggenda.
John Kennedy e Marilyn Monroe si conobbero nel 1954. JFK allora aveva 37 anni ed era uno dei giovani emergenti del Partito democratico. Laureato a Harvard, eroe di guerra, era sposato da un anno ed era senatore dello Stato del Massachusetts. Marilyn aveva 28 anni, ed era nel pieno fulgore della bellezza e della carriera. Dopo una lunga gavetta, si era imposta al pubblico e alla critica in film come Niagara, Gli uomini preferiscono le bionde e Come sposare un milionario.
La passione tra i due scoppiò fortissima. L’entourage dei Kennedy pensava fosse una delle normali scappatelle del futuro Presidente, ma stavolta la vicenda era più complicata. Jack non riusciva a togliersi dalla mente Marilyn: come confidò al fratello Robert, era “malato di Marilyn”.
Anche per la Monroe quella relazione era subito diventata speciale. Aveva alle spalle un passato drammatico. Non aveva mai conosciuto il padre; la madre viveva in manicomio e lei, bambina, il cui vero nome era Norma Jeane Mortenson, trascorse l’infanzia e la pubertà tra case famiglia e orfanotrofi, subendo umiliazioni, disavventure di ogni genere e stupri. Si liberò da quell’inferno a 16 anni, sposandosi. Ma fu un matrimonio fittizio.
Crescendo, Norma Jeane era diventata bellissima. Iniziò a fare la modella. Poi, passò al cinema, fu scritturata dalla Fox, che la lanciò con il nome d’arte di Marilyn Monroe. In poco tempo divenne una star amatissima, un’icona della bellezza e del sesso. Divorziò dal primo marito. Si risposò con un campione di baseball, Joe Di Maggio, ma anche questo matrimonio durò meno di un anno. Il terzo marito fu lo scrittore Arthur Miller.
Contemporaneamente ai mariti, ebbe numerose relazioni. Nell’ambiente cinematografico era considerato una donna disinibita, un’amante usa e getta. In realtà, non era così. Nel 2007, in due scatole di cartone appartenute alla Monroe, vennero trovate le sue carte segrete. Pagine di diario, appunti, riflessioni, poesie. Da quelle carte si scoprì che l’attrice viveva quasi con una doppia personalità: per il pubblico, era Marilyn Monroe, la star, l’oggetto dei sogni erotici di tutti i maschi; in privato, nel suo intimo, lei si sentiva Norma, la ragazza che aveva subito tanti soprusi e che sognava un’esistenza tranquilla, di moglie e madre. Si era creata lei stessa quella maschera, da vamp fatale e trasgressiva, per imporsi nel mondo dello spettacolo, per diventare ricca e realizzare i sogni di Norma Jeane. «Se avessi rispettato tutte le regole, non sarei arrivata da nessuna parte», si legge in quegli appunti.
Tracciando un bilancio delle sue esperienze di attrice, scrive: «Hollywood è quel posto dove ti pagano mille dollari per un bacio e 50 centesimi per la tua anima. Io lo so perché ho rifiutato spesso la prima offerta e accettato i 50 centesimi».
E, proprio quando incontra Kennedy, si sveglia in lei un amore nuovo. E si ribella al passato. Si ribella anche al personaggio fasullo che si era inventata. Vuole una nuova vita: quella sognato da Norma Jeane. Lascia Los Angeles e si trasferisce a New York. Fonda una casa cinematografica per essere indipendente. Conosce Lee Strasberg, il grande maestro di recitazione, creatore dell’Actor’s Studio. Vuole andare a scuola da lui. Strasberg la esamina e se ne entusiasma. Scopre che ha un talento naturale formidabile. Si dedica a lei, le dà coraggio. La libera dagli incubi del passato. La spinge ad essere se stessa.
Marilyn scrive nei suoi quaderni: «Non voglio obbedire più a nessuno. Posso fare il mio lavoro con la pienezza che voglio da quando ero bambina... Non mi lascerò spaventare o prendere dalla vergogna dei miei genitali svelati, conosciuti e visti... Voglio recitale la mia vita con tutta la sincerità che posso...».
Tutte le grandi storie d’amore sono documentate da lettere, poesie, fotografie, filmati, che richiamano i momenti romantici vissuti. Solo della storia d’amore tra Kennedy e Marilyn non esiste nulla. Ogni prova concreta che avrebbe potuto documentarla, è sparita. Restano volumi di racconti fatti da persone che hanno conosciuto i due innamorati, ma sono parole, spesso in contraddizione l’una con l’altra. Ed esistono montagne di resoconti dei servizi segreti che documentano gli incontri dei due amanti. Ma nessuna testimonianza diletta. Perfino nelle sue carte segrete, lei non parla di questa storia.
Dopo l’elezione di Kennedy a presidente degli Stati Uniti, Marilyn temeva che quell’amore dovesse finire. Invece, JFK era talmente preso da lei che si mostrava pronto a tutto per non perderla. I loro incontri, sempre più problematici, continuarono.
Ma le pressioni politiche intorno al Presidente diventarono assolute. Marilyn se ne accorse, soprattutto attraverso il comportamento di Peter Lawford, l’attore che era cognato di Kennedy, che conosceva tutto e che per anni aveva coperto la loro storia. Nel diario di Marilyn si trova un passaggio inquietante: «Negli ultimi tempi provo una strana sensazione di violenza. Peter mi fa paura. Ho paura che possa farmi del male, avvelenarmi».
Qualcosa stava accadendo. Marilyn conosceva troppe cose, troppi segreti della vita del Presidente degli Stati Uniti. JFK si rese conto che doveva chiudere quel capitolo. Lo fece in occasione del suo quarantacinquesimo compleanno, il 29 maggio 1962. Decise di fare una grande festa, al Madison Square Garden. Furono invitate 15 mila persone. Frank Sinatra ebbe l’incarico di organizzale lo spettacolo, a cui parteciparono artisti di fama come lo stesso Sinatra, Ella Fitzgerald e Maria Callas. Ma Kennedy volle che, prima del taglio della torta, fosse Marilyn Monroe a fargli gli auguri, cantando il tradizionale “Happy Birthday”.
E così fu. Tutti sapevano della relazione, ma nessuno ne parlava. E quell’incarico a Marilyn sembrava una consacrazione davanti al pubblico e alle telecamere, nella trasmissione, seguita da 40 milioni di persone, di quel grande amore segreto. Lo aveva pensato anche Marilyn, che cantò emozionata. In realtà, fu la fine: l’addio, la conclusione di una complicata storia d’amore.
Seguirono due mesi di silenzio. Jack non si fece più sentire. Marilyn, sempre più addolorata, non capiva. Continuava a telefonare alla Casa Bianca, anche se aveva promesso di non farlo mai. Ebbe vari incontri con Robert, il fratello del Presidente, che alla fine dovette spiegarle chiaramente come stavano le cose. Marilyn vedeva svanire quel suo grande sogno. Si sentì morire.
Che cosa sia accaduto dopo quell’ultimo incontro non si sa. La cronaca racconta che la mattina del 5 agosto si diffuse in tutto il mondo la notizia che Marilyn Monroe era stata trovata morta nel suo letto. «Si tratta probabilmente di suicidio», titolarono i giornali. «È morta per suicidio», scrisse il coroner dopo l’autopsia, archiviando il caso.
Ma subito cominciarono a serpeggiare dubbi. Da allora sono state scritte più di 700 biografie di Marilyn Monroe e migliaia di articoli che sostengono che l’attrice sapeva troppo e fu necessario farla tacere per sempre. Un anno e mezzo dopo, anche JFK moriva: lui fu certamente assassinato. Ma, anche in quel caso, i dubbi ancora serpeggiano.