Tempi, 19 novembre 2015
Come un’inchiesta senza prove né riscontri è diventata uno scandalo che ha cercato di mettere insieme Unicredit e il boss mafioso Messina Denaro
Piero Tony, il magistrato di sinistra autore di Io non posso tacere, l’ha chiamata «l’antimafia delle suggestioni». È quel complesso di indagini che fan periodicamente mostra di sé sui giornali e in tv in cui si dà gran risalto alle tesi dell’accusa e il minimo indispensabile a quelle della difesa. Prove poche, illazioni a iosa. È la dittatura della “narrazione”, quel modo di raccontare la realtà dove il confine tra dati di fatto e libertà poetico-giornalistiche si fa confuso, un amalgama di piacevole lettura e di non necessaria verità. Così la cronaca s’eclissa e diventa “racconto”, il diritto s’inabissa e diventa interpretazione. In fin dei conti, un boomerang, per chi voglia combattere sul serio la mafia.
Il recente caso Unicredit-Pallenzona-Bulgarella è, a suo modo, esemplare. C’è il potere e il potere occulto. C’è il vicepresidente di banca, l’imprenditore colluso e il ricercato numero uno in Italia. C’è tutto l’indispensabile per il canovaccio di una fiction. C’è pure la massoneria, e abbiamo fatto cappotto.
La vicenda inizia alle 15 e un minuto e cinquanta secondi di giovedì 8 ottobre quando un’agenzia di stampa manda on line la seguente notizia: «Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit, è indagato nell’ambito di una inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze con l’accusa di reati finanziari aggravati dall’articolo 7, cioè favoreggiamento a Cosa Nostra». Stiamo parlando della seconda banca più importante d’Italia, di uno dei maggiori istituti di credito europei e di uno dei suoi vertici, Palenzona, il cui nome, si scoprirà di lì a breve rimbalzando la notizia di sito in sito, è accusato di aver favorito con un prestito milionario un imprenditore, Andrea Bulgarella, in stretto contatto con Matteo Messina Denaro, il nemico pubblico numero uno, la primula rossa di Cosa Nostra, latitante, cui le nostre forze dell’ordine danno la caccia da anni. La notizia è una bomba e il titolo in borsa passa da 5,86 euro a 5,79.
«Notevoli riscontri»
Tempi ha letto la quarantina di pagine del decreto di perquisizione della Procura di Firenze. Lo avete fatto anche voi, a spizzichi e bocconi, sui giornali il giorno dopo e nei successivi. Il 9 ottobre la notizia è in prima pagina su tutti i quotidiani. Cosa scrivono i giornali? Semplice, copiano e incollano quanto ipotizzato dell’accusa. Che è, in sintesi, questo: Bulgarella, un imprenditore di Trapani che ha spostato le sue attività in Toscana, ha un debito di sessanta milioni di euro con Unicredit e studia con la banca un piano di rientro. Sebbene sia evidente che non ci siano i presupposti perché la banca lo assecondi, Bulgarella ottiene, grazie ai buoni uffici di Palenzona e del suo braccio destro Roberto Mercuri, che il piano sia approvato. Secondo l’accusa, l’aspetto grave di tutta la vicenda è che Bulgarella è in stretti rapporti con Messina Denaro e che Palenzona ne è consapevole.
Il modo con cui vi abbiamo sintetizzato la vicenda in una quindicina di righe non rende però l’idea di cosa ci sia scritto nelle quarantina di pagine del decreto di perquisizione e nelle oltre ottomila (8 mila!) pagine dell’informativa dei Ros che saranno depositate il 21 ottobre. Nel decreto vi si trova di tutto, anche valutazioni che nulla c’entrano con il fatto in sé, ma che ricostruiscono il “contesto” in cui accadono i fatti e l’indole dei vari protagonisti. Non volete chiamarla macchina del fango? Chiamatela macchina del fumo. Una cortina di fuliggine che scherma i fatti, che suggerisce anziché provare, che mormora sibillina anziché attestare l’autenticità o meno di un avvenimento.
Esempio: a pagina 6 e 7 gli inquirenti riportano un’intervista a Bulgarella realizzata nel 2005 dalla trasmissione Report. L’onorevole Pippo Gianni, amico del Bulgarella, si lamentò poi in vigilanza Rai delle modalità con cui quella intervista fu realizzata. Nove anni dopo, Gianni andò a trovare Salvatore Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia in carcere per una condanna per favoreggiamento alla mafia. E quindi? E quindi niente e quindi tutto. Fatti slegati tra loro, ma opportunamente accostati, non sono una prova, ma un suggerimento sì. Una suggestione sì.
E ancora: la procura ritiene «significativi» alcuni sms scambiati tra Bulgarella e il direttore di Panorama, Giorgio Mulè. Ma significativi di cosa? Del fatto che l’uno si complimenti con l’altro per i suoi articoli riguardanti il trasferimento del procuratore di Palermo Francesco Messineo? E quindi? E quindi niente e quindi tutto. Perché il trasferimento di Messineo è stato deciso dal Csm a causa delle inadempienze del procuratore nella mancata cattura di Messina Denaro. Chiaro no? Basta porre le premesse per far intuire l’obbligata conclusione del ragionamento.
E così via per pagine e pagine dove si dà gran risalto alle parole dei collaboratori di giustizia che confermano il sodalizio del Bulgarella con esponenti mafiosi. In verità, a leggere bene, i vari pentiti affermano che Bulgarella «si rifiutava di pagare integralmente la percentuale», ma il passaggio annega in una miriade di particolari tutti tesi a dimostrare che l’imprenditore era in «strettissimi rapporti» con Messina Denaro e legato ad ambienti massonici onde ottenere un prestito dalla banca di Credito Cooperativo di Cascina.
E Palenzona? Il vicepresidente appare a pagina 24. Il tono è assertivo. I vertici di Unicredit «erano pienamente consapevoli della situazione reale», «si sono adoperati per venire incontro alle richieste di Bulgarella assicurandogli un vitale ingiusto vantaggio patrimoniale», e tutto ciò è testimoniato da «notevoli riscontri». La prova principe è identificata dalla procura nel fatto che Unicredit ha approvato il 23 aprile 2015 il piano di ristrutturazione del debito. Quella sera. Mercuri ha organizzato a casa sua una cena per festeggiare la buona riuscita della fraudolenta operazione. Essendo questo l’impianto dell’inchiesta risultano «indispensabili le perquisizioni», anche in considerazione del fatto che «la ricerca di documentazione è particolarmente difficile in ambienti dove gli imponenti interessi economici e le tradizioni culturali conducano alla più rigida omertà».
Qualche domanda
A parte le formule di rito sulla presunzione d’innocenza, per i giornali è già tutto chiaro. Il 10 ottobre su Repubblica, Attilio Bolzoni firma un commento intitolato “La nuova mafia tra affari e potere” dove si legge: «L’inchiesta dei carabinieri del Ros (...) ci fa scoprire il “modello” di Cosa Nostra dopo lo sfascio causato da Totò Riina e dai suoi macellai corleonesi. Di mafia è tornata mafia. Originale, pura, autentica. La mafia che non è certo quella frottola che ci vogliono rappresentare come anti-Stato ma mafia che con pezzi dello Stato s’intende, va a braccetto, mano nella mano». Quando il 20 ottobre è fissata la data del Riesame, Repubblica titola: “Unicredit fu raggirata da Palenzona”. Elio Lannutti, presidente dell’associazione di consumatori Adusbef, ex Idv oggi grillino, chiede che la Bce commissari Unicredit.
Il clima è questo. Anche se, c’è da sottolineare, la banca difende i suoi uomini. Sin dal principio, infatti, Unicredit ribadisce la fiducia nell’operato dei vertici e inizia un’indagine interna. Per il resto, nessuno si pone qualche domanda elementare. Quesiti che, invece, il difensore di Palenzona, l’avvocato Massimo Dinoia, potrà porre solo il giorno dell’udienza del Riesame. Interrogativi tipo questi: perché della vicenda si occupa il tribunale di Firenze anziché quello di Milano, luogo indicato dagli inquirenti come teatro della trattativa Bulgarella-Palenzona? La competenza territoriale è un’opinione? Oppure: perché durante la perquisizione dell’8 ottobre si è proceduto sequestrando computer, chiavette usb, pendrive, email e non solo quanto attiene all’indagine? Perché si è proceduto con un sequestro invasivo, acquisendo anche atti coperti dal segreto bancario?
Ma molte altre domande si potevano porre in base ai soli elementi indicati nel decreto di perquisizione. Come mai, dopo sette mesi di intercettazioni delle utenze di Palenzona, non una delle sue telefonate era contenuta nel decreto? È perlomeno singolare che nemmeno i pm abbiano ritenuto che non una delle parole dell’uomo che stavano indicando come “amico” dei mafiosi potesse essere utilizzata contro di lui. Oppure: perché Bulgarella è ora presentato come uomo che ha nelle sue disponibilità «ingenti capitali» di provenienza illecita, ora come un imprenditore in forte difficoltà economica? Non è un po’ strano che, per avvalorare la “mafiosità” del Bulgarella ci si appoggi a vicende, dialoghi de relato, trasmissioni tv di oltre dieci anni fa? Se Bulgarella è un noto amico di mafiosi, come mai per trent’anni nessuna procura italiana l’ha mai arrestato? Solo Nicola Porro sul Giornale del 28 ottobre avanza qualche dubbio. Si scopre infatti che, da trent’anni, Bulgarella «affitta uno dei suoi immobili alla questura di Trapani e ha concesso dietro canone, da dieci, un altro palazzo alla Procura della medesima città». Ergo: se nemmeno la Procura di Trapani sospettava di Bulgarella, come poteva sospettare Unicredit?
L’altro aspetto che, sempre in base alle carte dell’accusa, dovrebbe balzare all’occhio è che nel decreto non c’è nemmeno una riga che attesti un incontro tra Palenzona e Bulgarella. Anzi, si riportano intercettazioni in cui i due, parlando con altri, confondono i nomi («Pallanzona, come si chiama?») o chiedono informazioni (Bulgarella «chi è, un cliente?»). Il paradosso è che le intercettazioni in cui i dipendenti di Unicredit parlano di Bulgarella come «dell’immobiliarista di fiducia di Falcone e della Procura di Palermo» e «amico di Pio La Torre» non siano lette secondo la lettera ma come “millanterie” dell’imprenditore per rifarsi un nome.
Quali intercettazioni avete letto?
Bisogna aspettare il 31 ottobre, giorno del Riesame, per venirne a una. È così che si scopre che: uno, Palenzona e Bulgarella non si sono mai incontrati; due, il piano di ristrutturazione della banca che, secondo i pm, era stato approvato il 23 aprile, non è mai stato approvato né il 23 aprile né dopo. La prove indicate dai pm, semplicemente, non esistono. Anzi, è vero il contrario. La delibera del Comitato Crediti del 23 aprile dice che la banca, esaminata la richiesta di Bulgarella, la bocciò e, come condizione perché fosse erogato nuovo credito, chiese di ripresentarla non prima di aver ridotto il debito di 22 milioni.
La Procura di Firenze ha persino ignorato che, in data 15 giugno, Unicredit ha ri-bocciato il piano di Bulgarella. Le stesse verifiche interne alla banca nei mesi successivi hanno portato alla medesima conclusione: non è stato fatto nessun atto nei confronti dell’imprenditore che possa essere considerato di “favore”. Anzi, ancora una volta, è vero il contrario tanto che, come ha fatto notare l’avvocato Dinoia, «le informative agli atti sono infarcite di intercettazioni in cui Bulgarella (o chi per lui) si lamenta molto vivacemente delle condizioni applicate da Unicredit al suo gruppo». Queste intercettazioni le avete lette sui giornali? Esatto.
Ecco perché l’ordinanza del Riesame ha smontato le accuse della Procura, sposando la ricostruzione della difesa di Palenzona. «Le fattispecie di reato ipotizzate – si legge – appaiono tutt’altro che ben delineate». Si tirano le orecchie ai pm per l’indebito ricorso alle intercettazioni e ai pentiti, e si mette nero su bianco che, in tutta questa vicenda, nemmeno esiste il «fumus» di qualsiasi reato. Si conferma quindi il decreto di sequestro per la vicenda Bulgarella-Cascina, ma si annulla quello Bulgarella-Unicredit: nessuna truffa, nessuna associazione a delinquere.
Tutto bene, insomma. Abbiamo imparato che l’accusa di avere a che fare con la mafia va circostanziata con cognizione di causa, mostrando fatti, documenti e occasioni che la avvalorino. Giusto? Mica tanto. Data nelle pagine interne la notizia su Unicredit, i giornali hanno cambiato copione. Il 5 novembre c’è stata a Roma la prima udienza di “Mafia Capitale”.